Micaela Cappellini, Il Sole 24 Ore 27/9/2010, 27 settembre 2010
LA RIVINCITA DELLA PERIFERIA BRIC
Nel suo piccolo, la Camera di Commercio della Spezia aveva visto giusto già quattro anni fa. Mai missione imprenditoriale fu più profetica di quella che nel novembre del 2006 portò un manipolo di imprese liguri nella città di Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, nel Sudovest della Cina. Obiettivo: cercare una realtà nuova e dinamica, diversa da Shanghai o Shenzen, i fari più classici di chi tenta lo sbarco nell’ex Celeste impero del boom economico.
In molti non saprebbero collocarla sulla cartina cinse. Ma Chengdu non è esattamente un paesotto, bensì una delle città più popolose del paese, con i suoi oltre 10 milioni di abitanti. Qui diverse grandi firme hanno già aperto negozi, da Prada ai marchi di Pinault, e altre - come Zegna - seguiranno. Soprattutto, Chengdu è nell’elenco delle città che l’ultimo studio di Boston Consulting Group pone al primo posto fra le mete emergenti dove oggi conviene investire. Sia per esportare beni di consumo, sia per andare a produrre in loco.
Dalla missione spezzina di quattro anni fa la Cecchi Salumi rientrò con in tasca un ordine per cinquemila vasetti di pesto alla genovese e il Consorzio Marittimo Cinque Terre Golfo dei Poeti si aggiudicò un accordo con un’agenzia di viaggi locale. Ma la maggior parte degli imprenditori si fermò alla promessa di ulteriori approfondimenti. Non Massimiliano Ghirlanda, che con la sua Euroguarco si occupa di guarnizioni e valvole che in parte produce e assembla nei 9mila metri quadrati dello stabilimento della Spezia, dove lavorano 37 dipendenti. «A Chengdu – racconta – trovammo subito un contatto interessante, che negli anni ha dato vita a una collaborazione piuttosto stretta e che ora potrebbe portare addirittura a una joint venture».
Il buon contatto si chiama Grv ed è un’azienda di piccole dimensioni, che però ha un parco clienti cinesi di tutto rispetto. «Fra questi c’è Sinochem – racconta sempre Ghirlanda – un colosso nel suo settore, che quando ha bisogno di valvole per l’alta pressione non si fida di quelle realizzate dai suoi connazionali, vuole un prodotto europeo. È una delle ragioni per cui la nostra collaborazione con la Grv negli anni si è fatta sempre più stretta». Come ha trovato Chengdu, quattro anni fa, quando ci è arrivato per la prima volta? Ghirlanda sembra stupito: «Non sono mica città sperdute, queste. Sono posti dove l’inglese si parla dappertutto, e dove ci si può muovere tranquillamente in macchina da soli».
«Winning in Emerging Market Cities», lo studio di Boston Consulting Group che il Sole 24 Ore pubblica in esclusiva, parte dal presupposto che megalopoli come Shanghai in Cina, Mumbai in India o San Paolo in Brasile sono realtà inflazionate, e che la vera prima scelta oggi diventano le cosiddette città di seconda fascia, di periferia.
Quali sono le mete su cui scommettere? Prendiamo la Cina: non ci sono solo le megalopoli sulla costa o la campagna più arretrata, ma tutto un gruppo di grandi città già consolidate, con grattacieli, centri commerciali e metropolitane da far invidia a Milano. Metropoli come Chengdu, appunto. O come Veracruz in Messico, Ahmedabad in India, Kazan in Russia: fanno da hub alle regioni in cui si trovano, punto di riferimento di grandi industrie locali e sede di diverse imprese straniere. Tra i grattacieli di Chengdu o quelli di Curitiba, in Brasile, vive già buona parte di quei 460 milioni di individui che fra cinque anni costituiranno la classe media emergente nel mondo.
Gli esperti del Boston Consulting Group, però, sono andati oltre e dalla sfera di cristallo hanno tirato fuori anche le realtà di vera frontiera, quelle che oggi sono soltanto cittadine. Come Santarém, in Brasile, o come la cinese Xiaochang, 160mila abitanti a 700 chilometri da Shanghai: attualmente gli unici prodotti stranieri che circolano qui sono i telefonini e qualche borsa contraffatta. Scommettere in questi posti, va da sé, richiede un po’ più di azzardo. Ma sono queste le Chengdu di domani. In Messico, ad esempio, le città con meno di 500mila abitanti stanno consumando la metà di tutta la produzione di cemento nazionale. Segno che si stanno espandendo, e a ritmi veloci. Il loro modello resta la megalopoli di Shanghai, che dal 2000 a oggi, ha visto i propri edifici letteralmente triplicare.
Tutte queste città non vanno sottovalutate soprattutto per il potenziale che hanno di generare consumi. Pare che nei centri urbani dei paesi emergenti, ogni minuto, 170 nuovi individui entrino a far parte della cosiddetta classe media, quella dal potere d’acquisto interessante per i beni di largo consumo: frigoriferi, televisori, telefonini, auto, ma anche scuole private, assicurazioni sanitarie, carte di credito e prodotti bancari. E se nel 2005 a un’azienda bastava essere presente in 60 città cinesi per raggiungere l’80% della sua middle class, per avere un’omologa quota nel 2020 occorrerà un paniere di almeno 212 centri urbani. Attenzione però ai prodotti su cui puntare, ricordano gli analisti, perché il fattore tradizione non è irrilevante. Inutile, ad esempio, puntare sulle macchine da caffè o sui mixer da cucina, per conquistare la casalinga di Chengdu. Per lei gli status symbol si chiamano bollitore per il riso, depuratore dell’acqua e macchina per preparare il latte di soia.