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 2010  settembre 26 Domenica calendario

VOLEVO FARE IL POETA. O IL FILOSOFO

Inutile cercare di prendere appunti ordinati. Massimiliano Fuksas comincia a parlare della sua vita e la penna, inevitabilmente, si mette a pattinare sopra il foglio. Parte da Vilnius, schizza a Parigi, passa per Strasburgo, corre a Salisburgo, sorpassa Vienna, dribbla Berlino, circonda Copenaghen, sorvola Londra, e Francoforte, e Stoccarda, e New York, e Shanghai, e Hong Kong, e Venezia, e Torino, e Milano, e Roma. Il ristoro arriva a Paliano. Nella palestra di Paliano. La sua palestra. Gli occhi di Massimiliano Fuksas diventano umidi, a questo punto: «È nella palestra di Paliano che ho voluto sposarmi con Doriana». È in questa palestra nel frusinate che la furia creativa di quest’ uomo, nato a Roma con il cuore e le radici in Lituania, ha trovato la perfezione della sintesi. In questo edificio tra i più straordinari esemplari dell’ arte contemporanea. «Ho voluto costruire una palestra inclinata, doveva regalare la sensazione di essere sul punto di cadere. È un omaggio a una generazione, la mia del Sessantotto, che è finita male». Aveva ventiquattro anni Massimiliano Fuksas nel Sessantotto, una moglie, due bambini, una laurea quasi in tasca. E una nuova vita che avrebbe bussato presto con prepotenza alla sua porta: Doriana Mandrelli. La ragazzina dai capelli biondi. Non si sarebbe fatta scrupoli Doriana: di lì a pochi anni sarebbe andata ad ascoltare le sue lezioni di professore di Storia dell’ arte al liceo, mettendosi sempre in prima fila. Facendogli boccacce impertinenti. Stregandolo. Racconta adesso lui: «Mi ha catturato immediatamente, Doriana. Ora che la conosco da quarant’ anni lo posso dire: con lei non mi sono annoiato nemmeno un minuto». Lo aveva capito al primo sguardo, Massimiliano Fuksas, che quella ragazzina temeraria sarebbe diventata il perno della sua esistenza. «Un giorno dopo una lezione nel liceo non ho resistito. L’ ho presa da parte, le ho detto: "Stai tranquilla. Un giorno io e te faremo una bambina"». Ne hanno fatte due. Ma quella prima stella del cielo, Elisa, è stata anche la stella polare di Massimiliano Fuksas: «Elisa è nata nel 1981, l’ anno in cui per me è arrivata la fama». E non è mai più andata via. Basterebbe questo a esaurire il racconto di una vita normale. Ma non certo se il protagonista della vita si chiama Massimiliano Fuksas e di materiale ne ha per fabbricarne almeno due o tre di esistenze. Non ha finito di parlare di Doriana l’ architetto Fuksas, che si è messo a frugare frenetico nella sua libreria e ha già preso tra le mani un nuovo volume, e poi un altro, e un altro, e un altro ancora. Si ferma all’ improvviso. Lo ha trovato. Stava cercando questo: le immagini delle torri di Vienna. La sua rivalsa sulla storia. Sulla sua storia personale. Nella Vienna controllata dai russi, il lituano Fuksas non potè mettere piede, da ragazzino. «Per questo da grande ho voluto costruirci dentro due grattacieli. Li ho collocati proprio all’ ingresso della città. Quell’ ingresso che mi era stato negato». È un’ impresa stare dietro ai racconti di questo architetto che è già entrato nella storia senza perder tempo a passare per la cronaca: ci sono pagine e pagine di retroscena dietro ogni dettaglio della sua vita. Solamente la relazione del professore Massimiliano con l’ alunna Doriana potrebbe diventare un romanzo. Quel professore che è diventato un architetto, e il suo nome che è diventato una griffe. Ci sarebbe bisogno di aggiungere altro? Lui sorride. Stringe le spalle. Ammicca sornione. Sul tavolo davanti a noi si sono accumulati talmente tanti libri che parlano e illustrano le sue opere: per essere esaustivi in questo articolo bisognerebbe aggiungere in appendice un’ accurata bibliografia. E nemmeno basterebbe. Dice lui: «Non faccio in tempo a far pubblicare un volume monografico su di me che quel volume è già diventato vecchio. Superato dagli eventi. Soltanto il tempo di uscire in libreria. E io ho già costruito qualche cosa di altro». E passa anche a parlare di altro. Inutile cercare di trattenerlo a descrivere il suo lavoro. La Fiera di Milano? Massimiliano Fuksas taglia corto: «La fiera di Rho-Pero è uno dei miei grandi progetti. Un milione di metri quadrati. L’ ho cominciata nel 2003, ci ho messo ventisei mesi a costruirla». Nulla di più. Riproviamo. Le opere disseminate sulla via della seta? «Partono dalla Turchia e arrivano in Cina passando per la Georgia». D’ accordo. Ma, almeno, qualche dettaglio emotivo sulla sua prima pietra? Sul primo edificio costruito dall’ architetto Fuksas? Niente da fare: «È un palazzetto nelle Marche, a Sasso Corvaro. L’ ho realizzato a ventisei anni. Un bel palazzetto». La verità è che Fuksas adesso ha voglia di parlare soltanto di Tersilia. Di mamma Tersilia. E non serve nemmeno tentare di dirottare il discorso sulla sua amata «Nuvola», la costruzione nel quartiere Eur a Roma transitata per l’ Expo di Shanghai. C’ è qualcosa che urge. «Mia madre Tersilia era una professoressa di filosofia», comincia a raccontare Massimiliano Fuksas e la certezza è che questa non può essere un’ informazione messa lì per caso. Bisogna aspettare per capirne l’ importanza. Il padre di Fuksas, di origine lituana, era un medico, giusto? L’ architetto annuisce. Ma non aggiunge altro sul suo papà. Non alza neanche gli occhi dal foglio. Dal rotolo infinito di carta bianca che ha davanti e che da quando abbiamo cominciato a chiacchierare non ha mai smesso di riempire d’ inchiostro. Non c’ è nulla di geometrico nel tratto dei disegni di Massimiliano Fuksas. Lui sorride, ora: «Non c’ è mai stata la geometria nei miei disegni. Da piccolo non giocavo con i cubetti. Piuttosto costruivo cappelli con la plastilina colorata». A questo punto bisogna fermarlo Fuksas, altrimenti può andare avanti chissà quanto a raccontare la fattura di quei cappelli che nella sua articolata fantasia erano i berretti dei soldatini. Solamente i berretti. Lui i soldatini interi non li ha mai voluti fra i suoi giocattoli. Già, la plastilina. Ma non si dice che i cubetti sono i giochi preferiti di ogni buon architetto in erba? E le geometrie? Non sono la base dell’ architettura? Massimiliano Fuksas adesso ride, di gusto: «Sì certo, è così. Ma chi lo ha detto che io sono un architetto?». Non bastano, per dire, le decine di volumi accatastati sul tavolo, a testimoniarlo? Fuksas alza le spalle: «Io, dentro, mi sento un artista. E la verità è che io ad architettura non avevo alcuna intenzione di iscrivermi. Né, tanto meno, di studiarla. Volevo dedicarmi all’ arte». Alla poesia, prima di tutto. Massimiliano Fuksas ha incontrato sulla sua strada della post adolescenza Giorgio Caproni e pensava di fare il poeta. Poi si è imbattuto nelle letture di Henri Louis Bergson e ha creduto di voler diventare un filosofo. Poi è arrivata mamma Tersilia. «Non ci ha messo molto a farmi cambiare idea, mia madre. Lei la filosofia la conosceva bene. La insegnava. Eppure non ha esitato. Mi ha guardato e mi ha detto: "Vuoi fare Filosofia mio caro? Falla pure. Vedo già l’ ombra del fallimento dietro di te". Allora mi sono iscritto ad Architettura. Ho pensato che potesse essere la facoltà più indolore per me che facesse contenta la mamma». Santa donna, Tersilia.
Alessandra Arachi