Luca Doninelli, il Giornale 27/9/2010, pagina 22, 27 settembre 2010
L’antica battaglia della ferrovia tra Milano, Bergamo e Brescia - Su terre antiche e gloriose come quella lombarda è facile cogliere sentimenti e pensieri che le nostre menti moderne si portano appresso da epoche lontane
L’antica battaglia della ferrovia tra Milano, Bergamo e Brescia - Su terre antiche e gloriose come quella lombarda è facile cogliere sentimenti e pensieri che le nostre menti moderne si portano appresso da epoche lontane. Come edifici antichi permangono in mezzo alle costruzioni nuove, così avviene per le nostre idee. Due mie allieve bergamasche di nome Ylenia e Maria Elisa mi propongono un piccolo saggio dedicato a questo curioso tema: Perché il tragitto ferroviario Milano-Brescia (84 km) dura in media meno del tragitto Milano-Bergamo (50 km)? Mi raccontano che la tratta Mi-Bg è tra le peggiori d’Italia e sospettano che dietro questa inspiegabile realtà (tenuto conto che Bergamo è legata a Milano a doppio filo) ci sia una lunga storia. L’idea mi conquista, anche perché ho sempre colto, a Bergamo (che è, bisogna ricordarlo, una delle città più belle del mondo), uno strano sentimento- non dirò«complesso»-d’inferiorità nei confronti di Brescia. A Brescia sì che fanno le cose bene... Impariamo da quelli di Brescia... Se noi facessimo come a Brescia... Dato che sono bresciano, la cosa può farmi anche piacere, però mi suona strana lo stesso. Uno sguardo sulla realtà attuale non offre spiegazioni: Bergamo e Brescia sono tutte e due molto belle e ricche, e l’una come l’altra sono formidabili motori dello sviluppo non soltanto regionale, ma nazionale. E i due popoli sono pressoché fratelli. Ma forse la storia, il passato, ci offrirà qualche lume in più. E la storia, raccontano le mie due brillanti ragazze, comincia addirittura nel 1837, quando la Lombardia, che a quanto pare sotto l’Austria se la passava bene, era in pieno sviluppo. Ma lo sviluppo, per realizzarsi pienamente, abbisognava di nuove vie di comunicazione. Fu così che nacquero i progetti per due ferrovie: quella che collegava Milano a Monza e quella, ben più importante, tra Milano e Venezia, che prevedeva una linea dritta tra Milano e Brescia. Bergamo si trovò tagliata fuori da questi progetti così fondamentali. E se è vero che la parte coltivabile del suo territorio ammontava a solo un terzo del totale (a differenza della Leonessa), già allora la città orobica contava la bellezza di 9445 ditte tessili (lana e soprattutto seta), estrattive, metallurgiche e altro ancora. Questa inspiegabile estromissione mobilitò gli alacri bergamaschi che, tramite la Camera di Commercio, fecero richiesta di essere inclusi nel progetto, proponendo una variante che avrebbe dovuto passare per Monza e Bergamo per deviare poi verso Brescia. E sembrava che la richiesta potesse essere esaudita, quando proprio a Brescia fu esposto (sempre nel 1837) il disegno ufficiale delle Sovrane Concessioni per la costruzione della ferrovia. E Bergamo non era nemmeno menzionata. Vi furono vibrate proteste. Il pro-presidente della Camera di Commercio bergamasca si fece ricevere, a Milano, nientemeno che dal Governatore, il quale gli rispose che la società concessionaria era libera di impiegare i propri capitali come e dove gli piacesse e che Bergamo non s’immischiasse in affari non suoi. Ci vorrebbe Manzoni per raccontare questa strana vicenda. Agli argomenti pertinenti dei delegati orobici, che presentavano validi piani alternativi e dimostravano, cifre alla mano, la convenienza dell’inclusione di Bergamo nel grande piano di incremento delle infrastrutture, i responsabili del progetto e i rappresentanti governativi rispondevano inventando difficoltà che non esistevano (l’eccessiva ripidezza del tracciato) o facendo dell’ironia, come testimonia questa risposta della Congregazione Provinciale: «Se si avesse a dar retta alle pretese e alle opinioni di tutti, si comprenderebbero nellalinea maestra Mantova per uso della strategia, Bergamo per la fiera, e Lodi pel butirro, e ne uscirebbe una bella rarità, una spirale, che segnata sulla carta scambierebbesi in un modello di cavaturaccioli». Insomma, non ci fu nulla da fare. Oltretutto il progetto di una tratta Milano-Monza-Bergamo fu momentaneamente accantonato e solo nel 1854 furono iniziati i lavori per mettere la città orobica in comunicazione con la metropoli. Ma fu un intervento posticcio, e gli effetti, sembrerà strano, si sentono ancora oggi. Questa storia ne lascia immaginare molte altre: storie di ripicche politiche, di spartizioni, di vendette. Si ha quasi l’impressione che Milano e Brescia si fossero accordate con l’esplicito proposito tagliare fuori Bergamo. Sarà per qualche alleanza politica, o sarà perché Brescia aveva per prima passato il confine tra impresa familiare e grande industria (con conseguente aumento delle quantità e calo dei prezzi, il che giustificava la necessità di diminuire i tempi e accrescere la velocità di comunicazione), fatto sta che per tener dietro a Milano e a Brescia nella corsa allo sviluppo Bergamo dovette contare soprattutto su sé stessa. Da questo racconto si può tratte una piccola morale. Se le piccole inimicizie politiche produssero un danno così permanente in una terra ricca, bene amministrata e aperta all’impresa privata come la Lombardia, possiamo ben immaginare il danno gigantesco che si è prodotto, in termini di sviluppo, in tante altre terre belle e potenzialmente ricche ma dal tessuto sociale indebolito, dove la politica locale abbia potuto permettersi, per decine e decine di anni, di fare bello e cattivo tempo.