Giampaolo Pansa, Il Riformista 26/9/2010, 26 settembre 2010
MEGLIO LE URNE DEL CAOS
Se per Gianfranco Fini il futuro arriverà con la lentezza del suo messaggio video, non scorgo per lui un avvenire brillante. Pure in un’epoca dominata dal totem della velocità, avrebbe fatto meglio a usare la posta tradizionale e non le diavolerie di Internet. Non ci avrebbe imposto un sabato interminabile, reso logorante da un rinvio dopo l’altro. Come sarà successo a tanti, anch’io mi sono sentito nell’anticamera di un dentista che non rispetta gli appuntamenti e tarda a farsi vedere.
Finalmente, dopo le sette della sera, il dentista Fini si è presentato. A mani nude e senza nessuna voglia di impegnarsi nel lavoro. Mi è parso spompato, frettoloso, per niente battagliero. Non ci ha rivelato nulla sulla proprietà della casa di Montecarlo. È del cognato Giancarlo Tulliani? Forse sì, forse no. Nella nebbia è apparsa soltanto una microscopica autocritica: ingenuità, arrabbiature senza esito. Più una scusa paradossale: a Montecarlo operare con società da paradisi fiscali «è obbligatorio». Anche un uomo di Stato come lui non poteva evitare la trappola dell’offshore.
Insomma, non è accaduto niente di niente. Fini si è limitato a una flebile difesa, come vittima di un “gioco al massacro” condotto da una Spectre di sconosciuti. Ha evitato di ripetere i giudizi pesanti che gli conosciamo: la democrazia italiana è «a rischio», prigioniera di una rete fatta di «ricatti e terrore». Non ricordo un’autorità istituzionale arroccata, almeno a parole, su una linea tanto sovversiva. In grado soltanto di generare conflitti sempre più pericolosi.
Per questo, come cittadino, provo paura. E mi domando se esista il modo per spegnere un incendio che può estendersi e incenerire tutto. Il Bestiario ne vede uno solo: ritornare alle urne prima che finisca questo maledetto 2010 o subito dopo. Bisogna lasciar sfogare gli istinti maligni in una battaglia elettorale. Pur sapendo che non sarà una prova facile. Dovremo affrontare l’inferno. Tuttavia non riesco a immaginare nessun’altra strada capace di ridare alla politica un minimo di normalità, di quiete, di dignità.
Del resto, le elezioni anticipate sono ormai un obbligo che sarebbe molto pericoloso non onorare. Guardiamoci attorno. Il governo Berlusconi è in coma. Non solo stenta a governare, ma non ha neppure la forza di decidere la nomina di ministri e di autorità pubbliche che mancano da tempo. Il Pdl, architrave della maggioranza, non è più quello che aveva vinto le elezioni del 2008. Dal suo interno è nato un nuovo partito, Futuro e libertà, un gruppo aspramente nemico della casa madre. Nessuno sa dire quale sarà la forza elettorale dei futuristi. Ma poca o tanta che sia, di certo strapperanno voti alla cassaforte del Cavaliere.
Anche il premier si trova in un mare di guai come non lo era mai stato dai tempi del primo ribaltone, quello del 1994. È anziano, stanco, sostenuto soltanto dall’ostinazione a durare. La Lega di Umberto Bossi viene ritenuta in ascesa, ma i voti che le accreditano sono per ora teorici e tutti da conquistare. Le opposizioni di centrosinistra si dibattono nel marasma. Il Partito democratico è squassato dalle divisioni interne e non sembra in grado di compattarsi attorno a un leader riconosciuto dall’insieme delle correnti. L’Italia dei valori avanza pretese da grande parrocchia, però Di Pietro si muove come un agitatore di piazza. Ogni volta che appare in tivù, la sua tribuna costante, urla, sbraita, lancia proposte ansiogene, rivolte a distruggere più che a costruire. Il capo di Sinistra e libertà, Nichi Vendola, è un illusionista avventato. Convinto di poter guidare un fronte in grado di battere il centrodestra.
Su questo caos incombe una data gonfia di rischi: il mercoledì 29 settembre. Quel giorno, Berlusconi presenterà alla Camera il programma di rilancio del governo. Tuttavia è ancora buio fitto sulla conclusione del dibattito. Ci sarà una mozione di fiducia? Oppure una semplice conta dei voti a favore del premier? La famosa quota 316 di cui tanto si parla verrà raggiunta o il governo cadrà? E se anche non cadesse, quanto potrebbe durare ancora? Venerdì il premier ha garantito che resterà in sella fino al 2013. Ma i cimiteri sono pieni di leader convinti di campare all’infinito.
Dunque non resta che affrontare la prova delle urne, anche con l’attuale legge elettorale. So bene che ha molti difetti e andrebbe migliorata. Però non credo che, in questo disordine avvelenato, sia possibile cambiarla con un confronto non sanguinoso. So altrettanto bene che al voto ci arriveremo attraverso un percorso di guerra. Segnato da tappe orrende che è facile prevedere. Una violenza verbale sempre più maligna. Scontri fra bande avversarie.
Conflitti sociali a ciclo continuo. La discesa in campo del ribellismo rosso e, forse, di quello nero. Gli assalti della criminalità organizzata, un potere politico nascosto che si rivela sempre quando i partiti mostrano la loro impotenza. E di proposito non metto in conto ciò che potrà emergere dalle sabbie mobili della crisi economica e finanziaria.
Certo, andare alle urne subito risulterà per tutti una prova del fuoco. Ma sarà sempre meglio rischiare che tirare a campare nella palude odierna. Sotto la luce livida dei televisori che, ogni sera, scaraventano nelle nostre case i dossieraggi di Bocchino, le acrobazie barocche di Vendola, le chiassate di Di Pietro, i brontolii di Bersani, i ruggiti faticosi di Bossi, le velleità sudiste di Casini. E per finire, i bla bla alluvionali del Cavaliere, premier senza più premierato.