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 2010  settembre 25 Sabato calendario

IL RITORNO DELLE SVALUTAZIONI COMPETITIVE


Chi è convinto che il mondo sia piatto non deve faticare molto, neanche dopo la grande recessione, per trovarne conferme. Il problema è che ora è percorso anche da una prova di forza fra Paesi e mercati in cui vince chi deprezza la propria moneta per esportare di più. Alla fine qualcuno dovrà perdere, come ora accade all’euro, finché un equilibrio monetario precario rischia di trasformarsi ancora una volta in uno squilibrio pericoloso.

Di questo nuovo mondo piatto e aperto agli scambi, ma dalle valute manovrate ad arte, i sintomi sono ovunque. In questi giorni per esempio il Brasile ha compiuto un silenzioso sorpasso sull’Italia, perché i tassi a dieci anni dei bond del governo sudamericano per la prima volta sono più bassi di quelli del Tesoro di Via XX Settembre. Era impensabile nel 2001 quando era sull’orlo del default, ma ieri Brasilia pagava il 3,90% a dieci anni mentre Roma è al 3,92%. Anche Tailandia e Corea del Sud, altre protagoniste di recenti catastrofi finanziarie, hanno appena superato rispettivamente Spagna e Irlanda.

Altri sintomi del nuovo ordine valutario dopo la crisi arrivano dall’economia reale. Applied Materials, un colosso americano del tessile, ha spostato in Cina tutta la ricerca e sviluppo e il capo delle tecnologie: anche il cervello dell’azienda segue le catene di montaggio, che da tempo si erano già trasferite dove il lavoro manuale è più a più a buon mercato. La Cina del resto promette di poter contenere i costi a lungo, anche perché continua a intervenire sui mercati stampando e vendendo la propria moneta (per dollari, euro o yen) in modo da tenerla debole. È così che Pechino ha accumulato 2.450 miliardi di dollari di riserve in pochi anni e contributo a minare una delle certezze benigne dei mercati aperti: che i posti meglio qualificati e meglio pagati sarebbero comunque rimasti in Occidente e sarebbe semplicemente bastato formare i giovani per questo.



Secondo alcuni, non necessariamente andrà così. La disoccupazione è una minaccia ovunque e nessuno vuole più rischiare di cedere quote di mercato e posti di lavoro al vicino che svaluta di più. Per questo la Cina non è più la sola a intervenire unilateralmente sui mercati per controllare i rialzi o indebolire la propria valuta a scopi mercantili. Piuttosto, ormai soffre di solitudine chi non lo fa. Interviene per esempio a ritmi da record la Corea del Sud, come rivela l’impennata del 16% delle sue riserve solo nell’ultimo anno (la media per tutta l’Asia è un cospicuo più 13%). Fra le potenze emergenti ha iniziato a intervenire con decisione anche il Brasile, negli ultimi giorni al ritmo di un miliardo di dollari al giorno: il governo mira a frenare la rivalutazione registrata dal real dell’ultimo anno.

Anche fra i vecchi Paesi avanzati l’attivismo è crescente. Per contenere la corsa del franco, la banca centrale svizzera ha accumulato più di 200 miliardi di riserve in un anno e di recente anche la Banca del Giappone è tornata con forza sui mercati per la prima volta dal 2004. Tutto per conquistare, o non perdere, quote di mercati esteri. Ma se Tokyo si è mossa e gli altri accelerano è soprattutto perché la Federal Reserve americana dà segni di voler allentare ulteriormente le redini. Con i tassi già bloccati a zero, potrebbe stampare ancora centinaia di miliardi di dollari: in attesa che accada, il biglietto verde scende già. Di conseguenza, per evitare che le proprie valute si impennino troppo sulla moneta Usa, anche le banche centrali di Gran Bretagna, Canada, Australia o Svezia diventano (in modi diversi) meno rigorose di quanto sarebbero altrimenti.

Il mondo cresce al 4%, eppure è sempre più inondato di massa monetaria in eccesso a caccia di attività ovunque purché che rendano qualcosa. I sorpassi sui tassi del Brasile sull’Italia o della Tailandia sulla Spagna si spiegano così. Intanto la sfiducia degli investitori verso la moneta di carta, su qualunque meridiano del pianeta, alimenta l’appetito per l’oro: di qui i record a ripetizione del metallo giallo, vero talismano-rifugio. Ormai quasi solo la Banca centrale europea rifiuta di gettarsi nella caotica corsa globale alla svalutazione competitiva, per non essere complice della prossima bolla o del prossimo crac. E l’euro, malgrado i suoi problemi, costa sempre di più.