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 2010  settembre 25 Sabato calendario

I NERVI SALDI DI TOKIO BATTONO LE ANSIE CINESI


I magistrati che ieri a Okinawa hanno deciso di scarcerare il cinese Zhan Qixiong non hanno bluffato. L’intrusione a bordo del suo peschereccio e lo speronamento di due motovedette «non erano premeditati», ma soprattutto hanno ammesso che, «viste le conseguenze per i giapponesi e per le relazioni tra Tokio e Pechino, s’è giudicato inopportuno insistere con la detenzione» cominciata l’8 settembre. Rapporti sino-giapponesi ai minimi dal 2006, con i due Paesi aggrappati alle proprie ragioni sul possesso delle isole Senkaku/Diaoyu. Tuttavia le autorità nipponiche si sono concesse un escamotage per salvare la faccia, non considerando chiuso il caso.


Mentre la Cina loda la «saggezza» dei rivali, i nazionalisti nipponici se la prendono col governo di centrosinistra di Naoto Kan, che ha ceduto al vicino (ora economicamente più forte, peraltro). Eppure, l’apparente sconfitta di Tokio merita una lettura in controluce. Per il suo capitano, la Cina ha fatto di tutto. In ordine sparso: ha convocato più volte l’ambasciatore di Tokio, ha consentito (blande) manifestazioni anti-giapponesi, ha sospeso incontri bilaterali, ha minacciato ritorsioni (Wen Jiabao dixit), ha bloccato viaggi di studenti giapponesi, ha preteso un’indagine per un panda morto a Kobe, ha messo a punto una multa contro la Toyota per «corruzione commerciale», ha arrestato in Hebei 4 cittadini nipponici entrati in un’area militare e — nonostante le smentite — avrebbe fermato o rallentato l’esportazione in Giappone di «terre rare», elementi chimici essenziali.

A fronte di tale fuoco di sbarramento il Giappone si è limitato, fino a ieri, a tenere il punto e a invocare la calma. Ha esercitato, si direbbe, una certa saldezza di nervi. Ha mostrato una tenuta che, dopo le incomprensioni circa la base di Okinawa, potrebbe far piacere agli Usa. E parrebbe aver smascherato le ansie della Cina. Schiacciata tra il dogma della «non interferenza» e l’affermazione di uno spazio vitale che in Asia non tutti sono disposti a concederle, deve forse aggiustare alcuni aspetti del suo muoversi nel mondo.