Duilio Lui, ItaliaOggi 27/9/2010, 27 settembre 2010
IN BORSA VA DI MODA IL RIMPASTO
Come comportarsi quando sui mercati cominciano a diffondersi voci su possibili cambi al vertice della società in cui si è investito? È la domanda che si pongono sempre più spesso piccoli e grandi risparmiatori. Perché gli ultimi mesi, indicati dalle analisi di inizio anno come quelli della calma dopo la tempesta, si stanno rivelando invece pieni di rimpasti, tanto in Italia, quanto nello scenario internazionale.
Con gli analisti che in queste circostanze sfornano un report dopo l’altro, tuttavia spesso senza fornire una bussola precisa agli investitori.
Il caso Unicredit. Il caso più recente è quello di pochi giorni fa: quando si sono diffusi i primi rumors sulle dimissioni dell’a.d. di Unicredit, Alessandro Profumo, il volume degli scambi sul titolo si è impennato. Piccoli risparmiatori e gestori professionali che scommettevano su futuri ribassi o rialzi, a seconda delle divergenti posizioni sugli sviluppi futuri della prima banca italiana per capitalizzazione. Né sono stati di grande aiuto i report degli analisti, in molti casi discordi tra loro. Alla vigilia delle dimissioni Banca Imi aveva previsto una sofferenza per il titolo in Borsa, a causa «delle incertezze sul futuro management della banca» ed effettivamente il titolo ha accusato il colpo. Anche se, allo stesso tempo, il report ha confermato il giudizio «add» (aggiungi) sul medio periodo, con un prezzo obiettivo di 2,39, che comporterebbe una crescita di circa il 20% rispetto ai valori attuali.
Nelle stesse ore gli analisti di Banca Akros avevano visto nella debolezza del titolo «un’occasione di acquisto», nella convinzione che «il solido team manageriale costruito negli anni riuscirà a gestire la situazione». Da qui la conferma del giudizio «accumulate» con un target price di 2,3 euro. Di diverso avviso gli analisti di Intermonte, rating «neutral» e target price a 2,15 euro, secondo i quale la notizia delle dimissioni era «nel complesso negativa» e con «un duplice risvolto: da una parte risolvere l’impasse che eventualmente si creerebbe a seguito della mancanza di fiducia tra azionisti e ceo; dall’altra, l’insediamento di un nuovo ceo comporta il rischio di svalutazioni non attese che generalmente si materializzano in occasioni di cambi al vertice».
L’esperienza passata. Qualche indicazione utile può arrivare dal passato. Come detto, molte aziende hanno attraversato situazioni simili negli ultimi mesi: come Hp, che il 6 agosto ha visto il passaggio di testimone da Mark Hurd, che aveva rilanciato la società negli ultimi anni a colpi di acquisizioni, a Cathie Lesiak, già nell’azienda con la carica di direttore finanziario. Le prime sedute successive alla decisione hanno visto il titolo oscillare pesantemente, con una prevalenze delle vendite sugli acquisti, ma guardando la performance del grafico si scopre che oggi la società è tornata sui livelli pre-dimissioni. Complice il fatto che il management ha lavorato nel solco tracciato dal precedente numero uno, tanto che è di pochi giorni fa l’annuncio di un’opa (offerta d’acquisto) su Arcsight, offerta per la quale Hp ha messo sul piatto 1,5 miliardi di dollari, offrendo 43,5 dollari per azione, il 22% in più rispetto alla quotazione in Borsa della vigilia.
Allungando lo sguardo all’indietro, un altro colosso tecnologico ha cambiato testa: a febbraio Leo Apotheker si è dimesso da ceo della tedesca Sap, ed è stato da Bill McDermott. Rispetto ad allora, il titolo è in crescita di quasi il 10%. Segno che, anche in questo caso, il temuto effetto disaffezione da parte degli investitori non c’è stato, anche perché a fine agosto il board ha rivisto al rialzo le stime sugli utili per l’anno in corso, attese in crescita dell’8-10%, rispetto al precedente 4-7%.
I consigli dell’esperto. Secondo Massimo Jakelich, direttore investimenti di Vontobel Italia, l’atteggiamento da tenere in queste situazioni dipende da una serie di considerazioni: «Premesso che i mercati spesso si muovono sui rumors, orientando il prezzo prima che le notizia diventi ufficiale, occorre considerare perché c’è un cambio di manager: se ha fatto male, capita spesso che i mercati reagiscano positivamente. Questo perché potrebbe essere il segnale che gli azionisti intendono accelerare sul fronte della profittabilità». L’opposto succede se, invece, l’azienda va bene ed è il ceo a lasciare per tentare un’altra esperienza professionale.
«Una mossa spesso letta dal mercato come un limite strutturale dell’azienda lasciata», aggiunge Jakelich. «Ancora diverso è il caso in cui il manager viene invitato a lasciare per questioni non legate strettamente ai risultati. Certo, l’allineamento tra management e azionisti è fondamentale per far crescere l’azienda, ma le Borse guardano con diffidenza ai casi di cambi dettati da motivazioni politiche».
Infine è importante esaminare la tempistica: «Una dimissione improvvisa può creare turbolenza sul titolo, soprattutto se non si intravede un successore. Anche se, nel medio periodo, spesso si assiste a un riassorbimento della volatilità e i mercati tornano a giudicare in base ai risultati conseguiti dal nuovo management».