La Capria Raffaele, Corriere della Sera, 25 settembre 2010, 25 settembre 2010
L’ISLAM E IL MANCATO PRINCIPIO DI RECIPROCIT
Tutti i rapporti tra gli individui, i popoli e le nazioni sono basati su questo principio: Tu non puoi fare a me quello che io non posso fare a te. Quando fai a me quello che io non posso fare a te si rompe l’ equilibrio necessario perché vi sia la pace. Questo equilibrio si rompe (e infinite volte nella storia si è rotto) con la guerra. È il vincitore che impone la sua legge al vinto e gli dice: Io posso fare a te quello che tu non puoi fare a me. Così il vincitore infrange il principio di reciprocità con la violenza e con la forza. Ma adesso cosa accade, cosa sta accadendo? Che questa imposizione del vincitore è diventata una prerogativa (un presupposto) del mondo islamico, anche se non c’ è nessuna guerra vinta.
L’ Islam parla come parla il vincitore e dice: io posso fare a te quello che tu non puoi fare a me, posso venire a Roma e dire quel che mi pare (Gheddafi), anche se offensivo per i tuoi sentimenti religiosi, ma tu non puoi nemmeno immaginare di venire alla Mecca e comportarti allo stesso modo.
Io posso costruire una moschea in terra cristiana, ma tu non puoi costruire una chiesa in terra islamica.
Sono tante le cose in cui emerge e stride la mancanza di reciprocità, sono tante quelle assolutamente inconcepibili per noi nei loro confronti e lecite per loro nei nostri confronti. Da qui, da questo grado zero, parte il mio senso comune, che per sua natura semplifica senza voler tenere conto della complessità del problema e di tutte le ragioni storiche, religiose e perfino legali che rendono possibile la mancanza di reciprocità. Non ne vuol tener conto perché vuole la pace e non la guerra con quell’ Islam moderato che pensa che proprio la reciprocità non rispettata renda difficile la pace. Pensa che qui, in questa mancanza di reciprocità sia il vero scontro di civiltà, perché in questa mancanza c’ è la negazione dei diritti dell’ altro e perfino della sua esistenza.
C’ è la negazione della «sacralità della vita, della dignità della persona e della libertà di scelta», diceva la Fallaci su questo giornale, che sono i cardini della civiltà occidentale. Come si fa ad esercitare la diplomazia, qualsiasi tentativo di risolvere le divergenze, in una situazione del genere?
Come si può favorire ogni tentativo di portare la pace nel cruciale conflitto tra israeliani e palestinesi se non si accetta questo principio di reciprocità? Sì, vi sono anche altre ragioni di contrasto, ma possono essere discusse solo dopo aver superato l’ impossibilità di accettare il principio di reciprocità. Impossibilità che tra noi e l’ Islam è sempre esistita, perché storicamente politica e religione nell’ Islam sono una cosa sola, e la religione perdonava soltanto chi si convertiva, gli altri erano gli infedeli, i diversi, da tenere a bada e nel migliore dei casi da tollerare. È anche vero però, come accadde in Sicilia e in Spagna, che la tolleranza potè trasformarsi in una forma di civiltà superiore e più raffinata della precedente, perché «la corrente della vita nella sua imprevedibilità è infinitamente più potente» scrive Cacciari sull’ «Espresso», di ciò che appare (oggi) insuperabile. Ma ritornando al discorso iniziale, è sempre nella mancanza di reciprocità la differenza più profonda e direi costitutiva delle nostre storie. Perché è qui che il logos, rimproverato ingiustamente a Benedetto XVI quando fece il suo famoso discorso, cioè il principio di ragione, vien meno. Quella ragione che abbiamo ereditato dai greci e che fa parte della nostra profonda identità. Tra fede cristiana e fede nell’ Islam la differenza dunque è il principio di ragione, e questo appunto presuppone la reciprocità. Sono considerazioni elementari che resterebbero tali, se non fosse in atto da molti anni una silenziosa avanzata demografica degli islamici in Europa che fa pensare «prima o poi l’ Islam conquisterà la maggioranza in Europa» (così ha dichiarato il padre missionario Piero Gheddo).
Gli immigrati di fede islamica sono infatti sempre più in crescita, si calcola che entro il 2050 saranno circa il 25 per cento della popolazione, mentre la tendenza demografica degli europei è sempre in diminuzione. Questo significa, dice il senso comune, che nel 2050 avremo i vincitori in casa senza aver fatto con loro nessuna guerra. E allora per forza di cose e forza numerica essi potranno dire tranquillamente: Io posso fare a te quello che tu non puoi fare a me.
Che fare? Si può mutare l’ identità altrui o la propria con l’ esercizio della ragione? Evidentemente no. Non ci resta che sperare in un futuro in cui la forza delle cose e l’ istinto di conservazione, «la corrente della vita» appunto, ci porterà ad assumere un’ identità diversa e a inventarci una mentalità «universale».