Federico Mastrogiovanni, il Fatto Quotidiano 25/9/2010, 25 settembre 2010
SCRIVI IL 10% DI QUELLO CHE SAI, SOLO COSÌ SOPRAVVIVI AI NARCOS"
L’appuntamento è alle 6 e 30 davanti all’hotel. Pepis, diminutivo di Ernesto, allampanato e sorridente arriva su una vecchia Ford familiare del ’94 sfasciata e senza specchietti. Pepis fa il fotografo di cronaca per il quotidiano Primera Hora a Culiacan, capitale dello stato di Sinaloa, territorio dell’omonimo cartello, la più potente organizzazione criminale messicana. La giornata inizia presto, con il telefono di Pepis che capta le frequenze delle ambulanze. A Culiacan, e in molte città del nord del Messico come Ciudad Juárez, Tijuana o Monterrey, fare il giornalista vuol dire occuparsi dei morti ammazzati dai narco, giorno e notte. Dal 1° gennaio, secondo i dati dell’ufficio di medicina legale della città, ci sono stati 950 omicidi. I colleghi di Pepis del Diario de Juarez hanno scritto una lettera aperta ai narcos dal titolo “Cosa volete da noi” per offrire una tregua e fermare l’uccisione di giornalisti, chiedendo ai signori della droga “cosa voglio che venga pubblicato e cosa no”. Intanto il governo studia piani di protezione per i giornalisti, con guardie del corpo e un sistema di “sos” elettronico. “Ormai ci siamo abituati, conosciamo tutti i proprietari delle pompe funebri della città, che spesso ci chiamano per darci dati sui morti ammazzati. Ma noi tante cose non possiamo raccontarle, dobbiamo sopravvivere”. Pepis racconta di come si fa giornalismo “di sopravvivenza ” nella sua città, considerata la capitale del narco. “Tu arrivi sul luogo del delitto, fai le tue foto, parli con la gente, con la polizia, e sai quasi subito chi è stato ucciso, da chi, perché, e spesso anche chi sarà il prossimo. Però quello che racconterai nel tuo pezzo è che è stato colpito da 17 proiettili di AK-47, dove si trovava il cadavere e come erano costernati i familiari. E basta. Nessuna connessione, nessuna articolazione. Niente che faccia ricostruire la struttura del cartello, il modo di operare. Null’altro che i dati bruti dell’accaduto. Perché se no diventi scomodo, ti avvisano, minacciano te e la tua famiglia, e se continui a sgarrare sparisci per sempre”.
Un editoriale
contro gli assassinii
PEPIS NON VIVE nel terrore, perché da vent’anni sopravvive in questo contesto, però sa bene come muoversi e soprattutto si autocensura, come fanno quasi tutti. “È questo il segreto, l’auto-censura. La nostra unica arma è raccontare il 10% di quello che sappiamo – racconta Ismael Bojórquez, direttore del settimanale Rio Doce di Culiacan, uno dei pochi che parlano in maniera piùchiaraecoraggiosadelnarco – noi abbiamo famiglia, non c’è un’autorità che ti protegge, perché spesso è collusa con cartelli che di fatto hanno il controllo totale del territorio. Per cui fai quello che puoi, speri che non ti prendano di mira e provi a raccontare il più possibile, che spesso è troppo poco”.
Pepis vive per strada, macchina fotografica a portata di mano, e radio sempre accesa. “Non credere che sia impossibile convivere con questa gente. Con il tempo, se hai fortuna, trovi il modo di sopravvivere. Certo, mi piacerebbe fare il mio lavoro altrove, in un posto dove ti fanno scrivere davvero, dove puoi raccontare quello che succede, ma è già tanto se riesco a tenere i miei figli lontani da questo mondo. Tutti i giorni gli spiego che non è divertente andare a fotografare i morti assassinati, ma che lo devo fare, e provo anche a non fargli apprezzare le stravaganze dei narco-junior. Li riconosci: hanno pick up ultimo modello,vestitisgargianti,gioielli,e armi. Perciò vado in giro su questa bagnarola, perché nessuno si confonda con qualcun altro e per sbaglio mi scarichi una raffica di kalashnikov”. La sera Pepis passa al giornale a scaricare le foto e scrivere il pezzo. Nella redazione altri colleghi battono notizie simili senza andare troppo a fondo. Su un attaccapanni sono appesi due giubbotti antiproiettile con scritto prensa, ma sembra che non vengano usati da anni.
La mancia
del superboss
“SETITROVIinunasparatoria e devi scappare, con quei 30 chili addosso diventi solo più vulnerabile. E poi se vogliono farti fuori ti vengono a cercare a casa”. Mandata in stampa la notizia Pepis raccoglie le sue macchine fotografiche e si lancia a un matrimonio. “Stasera si sposa il fratello di un collega e vado a fare il serviziofotografico.Spessolavoro alle feste o ai matrimoni per arrotondare, le paghe dei giornalisti sono basse e io ho tre figli damantenere.Miècapitatodilavorare in un matrimonio in un rancho fuori città qualche tempo fa. Il tipo che mi ha contrattato mi ha avvisato che non potevo fare foto in un settore specifico della festa. Per nessun motivo. Io non ho fatto domande e ovviamente non ho fatto foto in quella parte della villa. A fine serata due uomini hanno controllato tutta la memoria delle mie macchinefotografichepervedere se avevo ubbidito, e un omettobenvestitomihafattochiamare .Mihadatounamanciasostanziosa e mi ha detto che mi ero comportato bene. Era Joaquín GuzmánLoera,dettoelChapo,il capo del cártel di Sinaloa in persona. Uno dei capi più ricercati del paese”.