Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 24/09/2010, 24 settembre 2010
QUELLE DOMANDE TRA FONDAZIONI E LIBIA
Raffaele Mattioli, banchiere di raffinata cultura, prima di parlare faceva i conti, l’ esame senza preconcetti del reale. Proviamo a seguirne il consiglio sul caso Profumo. a) Il rendimento. Alessandro Profumo è amministratore delegato dal 29 aprile 1997 al 17 settembre 2010. In questo arco temporale, Unicredit dà un total return annuo (apprezzamento del titolo più dividendi) dell’ 8% contro il 7% delle banche italiane. Il dato europeo non è facilmente paragonabile a causa del trattamento dei dividendi, ma la variazione delle quotazioni sui 15 anni è prossima allo zero. Le quotazioni correnti di Unicredit sono analoghe a quelle dell’ esordio, con la differenza che, allora, l’ economia del debito stava drogando borse e bilanci, mentre ora quella crescita spumeggiante e bugiarda è finita. Nello stesso periodo, i titoli di Stato hanno reso il 4,4% annuo. Le banche italiane sono riuscite a premiare un pò anche il rischio, quelle europee, prese l’ una per l’ altra, no. Quel che è certo è che grandi gruppi internazionali stanno già cercando Profumo. b) I guadagni. Da quando, nel 2000, si cominciano a pubblicare i compensi degli amministratori, Profumo ha totalizzato 50,7 milioni di compensi, più 7 di assegnazioni azionarie. Altri 40 li ha presi come liquidazione. Gli amministratori dovranno giustificare la cifra in relazione alla nuova disciplina delle retribuzioni emanata dalla Banca d’ Italia. Di solito, chi resta paga tanto chi se ne va per vincolarlo al silenzio. Sarà anche questo il caso? c) Diseguaglianze e sinistra. Nel 2009, anno gramo, Profumo ha preso 4,3 milioni, 83 volte il costo del lavoro medio pro capite in Unicredit. Nel 2007 aveva incassato 9,4 milioni e il multiplo era assai più elevato. Sempre nel 2009, il suo collega, Sergio Marchionne, aveva preso 4,8 milioni, 132 volte il costo del lavoro medio pro capite del gruppo Fiat. Entrambi hanno mandato a casa migliaia di dipendenti senza porsi il problema se questi si sarebbero sentiti trattati bene o male: c’ era il return on equity da migliorare in banca e un’ industria da salvare a Torino. Chi, nel Pd, pensa a Profumo come al nuovo leader evidentemente considera di sinistra il liberismo che ispirava l’ economia del debito e della diseguaglianze crescente. La fortuna del Pd è che Profumo è troppo intelligente per farsi incantare. d) Politica e conflitti. Si dice che la politica, attraverso le fondazioni, abbia cacciato Profumo. In realtà, chi ha speso tutto il suo potere per evitare il cambio al buio è stato il ministro dell’ Economia, Giulio Tremonti, che ha convocato Giuseppe Guzzetti, presidente dell’ Acri, nel suo ufficio milanese adiacente alla fondazione Cariplo e l’ ha esortato a telefonare a Paolo Biasi (Cariverona) e a Fabrizio Palenzona (Crt), oltre che a muoversi lui stesso. Qualche esponente della Lega ha cavalcato il caso, non i capi. La stampa berlusconiana ha maramaldeggiato sul banchiere. Ma nell’ esercizio reale del potere, Tremonti è la politica e le fondazioni non hanno ubbidito. Così come Allianz, Pesenti, Maramotti e tutti gli altri. A sostenere l’ ad sono rimasti l’ economista Lucrezia Reichlin e Salvatore Ligresti, debitore di Unicredit, dunque in conflitto d’ interessi temperato dal sapersi minoranza. e) Tremonti e la finanza. Il ministro aveva provato a sottomettere le fondazioni nel 2002, ma venne respinto. Attaccò poi la Banca d’ Italia di Fazio su Parmalat e si trovò sostituito da Berlusconi con Siniscalco. Di nuovo al governo, subì la nomina di Mario Draghi governatore. Varò i Tremonti bond per subordinare il credito al vaglio dei prefetti, ma le grandi banche, incoraggiate dalle fondazioni, li rifiutarono e ora Basilea 3 non li considera capitale, anche se sul momento il loro annuncio servì, e molto. Infine, la sfortunata difesa di Profumo. Morale: il rapporto tra politica e fondazioni funziona bene in Cassa depositi e prestiti dove non si gioca all’ egemonia. Resta il fatto che chi ha messo fuori Profumo non aveva il sostituto pronto. E così la disobbedienza non può dirsi gloriosa. f) Stranezze libiche. In un’ intervista alla Stampa, l’ ambasciatore libico, Hafed Gaddur, sostiene che il presidente Rampl era informato da Tripoli delle mosse dei libici in Unicredit. Fonti accreditate dal Sole 24 Ore precisano che era il governatore della Central Bank of Libya a riferire a Rampl le mosse della Libyan Investments Authority, di cui è consigliere. Nell’ intervista al Corriere, Rampl nega. Ma già il dirlo da parte libica prova l’ intreccio operativo tra banca centrale e fondo sovrano che tutte le persone normali già supponevano. E ciò dovrebbe costringere il consiglio di Unicredit a negare il diritto di voto al fondo per far rientrare i capitali libici sotto il tetto del 5%.
Massimo Mucchetti