Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 24 Venerdì calendario

ROMA-PARIGI: SE TUTTO IL PESO CADE SUI FIGLI

Quattro giornate di protesta in 9 nove mesi, due scioperi nazionali negli ultimi 16 giorni: Nicolas Sarkozy paga il prezzo di una riforma inevitabile quanto impopolare. In Francia è ancora possibile andare in pensione anticipata a 60 anni, come in Italia del resto, e c’ è una forte differenza tra il settore privato e quello pubblico, dove alcune categorie possono ritirarsi dal lavoro a 50 o 55 anni (in Italia, fin dal ’ 95, è stato avviato un processo di armonizzazione). La pensione a 60 anni che nel 1982, voluta dal presidente socialista François Mitterrand, era apparsa una conquista, oggi è una zavorra che appesantisce il deficit dei conti previdenziali (32 miliardi di euro che, senza interventi, salirebbero a 100 miliardi nel 2050, secondo l’ Eliseo). Il progetto del governo prevede, tra l’ altro, un aumento graduale per portare l’ età minima da 60 a 62 anni entro il 2018 e quella di vecchiaia da 65 a 67 anni entro il 2023. In Italia siamo partiti prima con le riforme, ma stavamo messi peggio. Ci abbiamo messo una quindicina d’ anni per portare (dal 2009) l’ età minima di pensione a 60 anni (nel pubblico come nel privato). E arriverà a 62 anni nel 2014 mentre quella di vecchiaia è di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne (ma nel pubblico impiego 65 dal 2012) e dal 2015 aumenterà automaticamente in rapporto alla speranza di vita. Un percorso lentissimo che, come quello francese, scarica sui «figli» il peso dell’ aggiustamento, salvando i «padri». Riforme a spese dei giovani, non rappresentati e non difesi né dai sindacati né, evidentemente, dai governi.
Enrico Marro