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 2010  settembre 25 Sabato calendario

GUADAGNARE OLTRE I «BRIC»

Cosa c’è oltre i Bric? Quali sono i mercati di frontiera che - accanto ai cugini di Brasile, Russia, India e Cina, i «Bric» appunto - potrebbero attirare le mire degli investitori nei prossimi anni? Plus24 ha provato a dare una risposta a queste domande, interpellando numerosi analisti e asset manager (in basso l’elenco) con cui si è tentato di capire dove si sta spostando il baricentro economico mondiale. Ne è uscita la mappa che vedete riprodotta qui accanto. Nord Africa, Est asiatico, Centro e Sud America, Europa centrale: qui, nei prossimi due decenni i mercati azionari dei paesi emergenti supereranno i listini dei paesi sviluppati per capitalizzazione, passando, secondo le previsioni di Goldman Sachs, dagli attuali 14 a 37 mila miliardi nel 2020, a 80 mila miliardi nel 2030. Il loro peso passerebbe così dall’attuale 31%, al 44% fino a toccare il 55% del totale mondiale.

I motivi di una tale ascesa? Una rapidissima crescita delle economie locali e un’altrettanto veloce maturazione dei mercati borsistici locali che, oggi, per molti aspetti, sono ancora a uno stato embrionale. A correre più velocemente saranno soprattutto le economie che oggi basano la loro forza sulla capacità manifatturiera e l’export: gli analisti di Goldman prevedono una crescita annua del Pil tra il 4% e il 6% per le Filippine, Malesia, Indonesia, Turchia e Thailandia. Ma in espansione saranno anche le economie di Messico, Singapore, Taiwan, con tassi superiori al 3% l’anno. «A seguito del protrarsi del mercato toro per i paesi emergenti, gli investitori stanno ricercando opportunità di investimento più economiche e meno inflazionate - spiega Jan Boudewijns, senior asset manager Emerging Markets di Dexia Asset Management -: esistono alcune opportunità tra i mercati emergenti tradizionali ma, più probabilmente, tra i cosiddetti "mercati di frontiera" che continuano a offrire valutazioni più vantaggiose rispetto a mercati più conosciuti». Il valore medio del multiplo prezzo/utili nei mercati di frontiera, aggiunge Boudewijns, «è di circa 9,2, rispetto a 11,6 per i mercati tradizionali e 12,8 per quelli sviluppati». La maggior parte di questi Paesi presenta del resto «livelli di indebitamento contenuto, crescita sostenuta e sistemi bancari stabili, con un rapporto impieghi/depositi ben al di sotto di uno». Altro vantaggio è la minore correlazione con i mercati occidentali che, «in una situazione di crescente correlazione tra i rendimenti azionari su scala globale, potrebbe essere estremamente utile».

Insomma, i presupposti per assistere a un progressivo miglioramento di queste economie ci sono. Ma se si puntasse su questi paesi, si potrebbe parlare di scommessa vinta in partenza? Tutt’altro. La scarsa liquidità, l’estrema volatilità degli indici, il rischio valuta (si veda articolo nella pagina accanto) sono tra le principali minacce di un investimento simile. Senza contare che nel lungo periodo la trappola dell’inflazione - che è probabile si manifesti dove la crescita è più elevata - può deprimere l’effetto di rendimenti positivi. Qualsiasi scommessa su queste aree, insomma, può partire dalla convinzione che i margini di crescita sono anche molto elevati. Ma anche dalla consapevolezza che a forti guadagni potenziali sono sempre associati rischi altrettanto elevati.