Miguel Gotor, Il Sole 24 Ore 25/9/2010, 25 settembre 2010
UNA LEGA DI LOTTA E DI PALAZZO
Gli ultimi avvenimenti sembrano indicare il grado di mutazione morfologica ormai raggiunto dalla Lega che, nel volgere di pochi anni, da forza antisistema si è trasformata in un movimento di lotta e di governo e ora si accinge a diventare il partito del palazzo.
Intendiamoci: tale natura camaleontica è un indizio di vitalità della classe dirigente di questa organizzazione capace di cambiare la barra della tattica tenendo fermo il timone della strategia senza scarrocciare. Ma alla lunga rischia di mettere a nudo la contraddizione di fondo della Lega, che la rende tanto simile al Psi di craxiana memoria: sano come un pesce nei sondaggi elettorali, con un robusto potere di interdizione come forza di governo, ma evanescente nella qualità politica dei risultati raggiunti.
Tutto era cominciato un secolo fa con lo sventolio in parlamento di un cappio da parte di un giovane deputato di cui oggi si sono perse le tracce, ma non il ricordo. Nel corso degli anni quella corda prima si è allentata, poi è stata slegata per essere tesa intorno al governo di Roma e ora, invece, viene utilizzata per dare la scalata finale alle ripide pareti dei palazzi del potere, a Roma come nei territori del Nord.
Sul piano economico la vicenda delle dimissioni di Profumo e alcune dichiarazioni di esponenti leghisti locali mostrano come il partito, in nome del territorio, dell’italianità e del ruolo delle fondazioni sia ormai determinato a seguire una politica di intervento e di controllo del potere bancario secondo modalità non diverse da quelle che furono negli anni Settanta della Dc veneta e nel decennio successivo del Psi lombardo. Sul piano strategico lo snodo è significativo perché segnala il desiderio di rafforzare un asse geografico e comunicativo tra la Baviera e il Veneto che non guarda agli interessi e agli equilibri nazionali dell’Italia, ma a quelli particolari del territorio e del bacino elettorale leghista. Certo, i tempi retorici, e mai eroici, dell’assalto ai poteri forti e marci sono ormai lontani. In questo campo al Nord il vero concorrente è il Pdl, ma il Carroccio ha il vantaggio di essere un partito-movimento obbediente, fideistico e compatto con una mission che diventa sempre più possibile: conquistare la rappresentanza politica del Nord produttivo, a prescindere dalla forza elettorale, che anzi è bene che resti quella di una forza media, necessariamente più dinamica e corsara di un partito contenitore pachidermico come il Pdl. Non a caso gli scontri maggiori avvengono con Formigoni, alla testa di una morsa di potere dall’impronta genetica simile.
Sul piano politico la situazione è più ingarbugliata, anche se mostra la fibra di una stessa intenzione strategica di difesa degli interessi di un pezzo di territorio. Legittimi o illegittimi poco importa: si pensi allo scandalo delle quote latte in base al quale tutti i cittadini italiani saranno obbligati a pagare l’illegalità degli allevatori del lombardo-veneto che si sono rifiutati di rispettare le regole pattuite dal governo con l’Europa. Proprio ieri l’altro è stato grazie ai voti determinanti della Lega che un politico sul quale pende un mandato di cattura per concorso esterno in associazione camorristica ha ottenuto dal parlamento il diritto a non vedere utilizzate delle intercettazioni che lo riguardano. Che un simile provvedimento sia stato avallato dal partito che esprime il ministro degli Interni e che ha la sua ragion d’essere nella protezione dei ceti produttivi settentrionali contro un Sud che si vorrebbe tutto parassitario e corrotto appare particolarmente grave. Un atteggiamento tanto spregiudicato, però, non deve stupire perché in realtà sono due particolarismi anti-nazionali che si sorreggono a vicenda: un certo Nord si è sempre servito di un certo Sud, in modo strumentale e privo di scrupoli, cementando insieme blocchi di potere, quelli sì di portata e destino nazionali.
Se questo è il quadro, sullo sfondo il problema resta: è difficile immaginare per quanto tempo ancora l’elettore leghista tipo possa resistere a un simile logoramento delle proprie parole d’ordine originarie e fare da stampella al navigare a vista di Berlusconi e della sua litigiosa compagnia. È probabile che mentre il governo, perdendo tempo ed energie preziose per l’Italia, continuerà a parlare della casa di Montecarlo e dei cognati di Fini, la Lega analizzerà il momento cruciale in cui sciogliere l’ambiguità di oggi, recuperare la sua anima movimentista e staccare la spina a questo esecutivo. Bossi lo ha già fatto una volta nel 1996, mostrando coraggio politico da vendere, e, immaginiamo, non esiterà a farlo di nuovo, anche perché la corda, proprio come l’estate, sta finendo.