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 2010  settembre 24 Venerdì calendario

ALBERTO MORAVIA E I CATTOLICI, INCONTRO MANCATO

Non è mai stato un rapporto facile, quello tra Alberto Moravia e il mondo cattolico. Si sarebbe addirittura tentati di dire che non fu un rapporto, tanta era la distanza tra lo scrittore romano (di cui il 26 settembre ricorre il ventesimo anniversario della morte) e la sensibilità religiosa di un Paese che pure, nei lunghi anni dell’avventura letteraria moraviana, ha subìto trasformazioni profonde, per esempio passando attraverso gli entusiasmi del Concilio Vaticano II e affrontando le tempeste della contestazione. Ma era come se tutto questo accadesse in un’altra Italia, in un’altra Roma rispetto a quella che Moravia descriveva nei suoi romanzi e più ancora nei suoi racconti. A rendere difficile, e a tratti impossibile, il dialogo contribuivano questioni ideologiche, oltre che le riserve morali suscitate dal pansessualismo caratteristico della narrativa di Moravia. Altri tempi, d’accordo, in cui non soltanto ci si riusciva a scandalizzare, ma si era anche abituati a prendere sul serio le idee, non importa quanto ideologicamente sclerotizzate. Moravia però non era Pasolini, non condivideva l’inquietudine spirituale dell’amico, né discendeva da quella tradizione di cristianesimo istintivo, creaturale, che attraversa tutta l’opera del poeta e regista friulano. Anche in Moravia ci sono pagine dedicate al cristianesimo e hanno talvolta una purezza sorprendente, come accade nel reportage dalla Palestina pubblicato a suo tempo dalla Locusta con il suggestivo titolo ’Questo freddo di Betlemme lo sentì il Bambino’. Più ancora, Moravia fu un grande ammiratore di Manzoni, da lui riconosciuto come autore del maggior libro italiano dopo la ’Commedia’ dantesca e di conseguenza, capostipite di una possibile via cattolica al realismo, che nell’opinione di Moravia restò sostanzialmente incompiuta. La riflessione più organica, sotto questo profilo, affidata a ’La speranza’, il saggio del 1944 nel cui sottotitolo lo scrittore affianca cristianesimo e comunismo, istituendo subito un’equivalenza tra le due ’forze’ alle quali il mondo avrebbe dovuto affidarsi per uscire dal dramma della guerra. Ideologia, certo, eppure rimane la sensazione di un incontro mancato. Per colpa dell’epoca poco propizia, forse, o forse anche per un’impuntatura di carattere, per l’orgoglio e l’intransigenza con cui Moravia volle impersonare la figura dell’intellettuale impegnato, ritrovandosi poi a detenere un ruolo di indubbio potere all’interno dell’industria culturale italiana. I cattolici avrebbero potuto sforzarsi di più? Può darsi, anche se l’attenzione di critici e recensori non è mai mancata ai libri di Moravia. Ne uscivano, più che stroncature, rifiuti di principio, puntualmente accompagnati dall’apprezzamento per la qualità della scrittura. Al di là di ogni altra considerazione, a fare da ostacolo era – ed è ancora oggi – il materialismo militante e in definitiva riduzionista al quale i personaggi di Moravia restano assoggettati. All’epoca degli ’Indifferenti’ sembrava una rivoluzione, oggi è una circostanza che il mercato giudica con favore. Chissà se Moravia ne sarebbe davvero contento.