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 2010  settembre 25 Sabato calendario

I primi furono i dissidenti dell’Mpa di Lombardo: cinque deputati meridionali decisi a offrirsi a Berlusconi

I primi furono i dissidenti dell’Mpa di Lombardo: cinque deputati meridionali decisi a offrirsi a Berlusconi. L’accordo fu rapido, ma rischiò di arenarsi su una difficoltà: quale nome darsi? Il Cavaliere ebbe uno dei suoi guizzi: «Se la Poli Bortone, che è da sola, ha chiamato il suo movimento Io Sud, voi, che siete tanti, chiamatevi Noi Sud; così la fregate». Cinque voti in più, verso la fatidica quota 316; da calcolarsi senza i finiani, come chiede la Lega. I secondi furono i siciliani dell’Udc. Già diffidavano di Casini, per loro troppo di sinistra. «Non veniamo a Chianciano, alla festa del partito» fecero filtrare. «Ma no, dai, non fate così, dai che a Chianciano ci si diverte» li rabbonì Pier. Per poi fargli trovare perfidamente il procuratore antimafia Pietro Grasso, che per Mannino e Cuffaro è come il crocefisso per i vampiri: è stata la Procura di Palermo, guidata prima da Caselli (l’altra sera presente ad Annozero tra il pubblico, mano nella mano con la sua signora) e poi proprio da Grasso, ad accusare di mafia sia Mannino, assolto dopo quasi vent’anni di indagini e processi, e poi il suo allievo, per il momento condannato. Una provocazione. Cuffaro ha risposto sibillino: «Prego per Casini ogni giorno». Mannino e gli altri tre deputati dell’Udc potrebbero votare per Berlusconi mercoledì prossimo. E nove. Con il campano Pisacane, dieci. Ci sarebbe poi Angelo Cera, che ha confessato la sua fragilità pregando Casini di aiutarlo a resistere alle tentazioni: «Mi difenda dalle continue pressioni e da una campagna mediatica che ha addirittura fatto pensare a un mio passaggio con altri partiti». Addirittura. In forte imbarazzo è dato Domenico Zinzi, sempre dell’Udc, eletto presidente della provincia di Caserta grazie all’intesa con il capo del Pdl in Campania Cosentino: al voto sulle intercettazioni per prudenza Zinzi non si è fatto vedere. La segretezza ha reso la votazione molto sofferta: alcuni finiani, sospettati di infedeltà, lamentano di essere stati costretti a infilare nella fessura con i bottoni non la mano, come si fa di solito, ma il dito indice, per consentire ai colleghi di verificare che votassero «sì» all’uso delle intercettazioni. Fatto sta che alla fine ci sono stati sedici «no» più del previsto. Scioglieranno la riserva solo dopo il discorso di Berlusconi i tre liberal-democratici, guidati da Daniela Melchiorre, già sottosegretaria del governo Prodi; per lei è pronto un posto da sottosegretaria del governo Berlusconi, se si comporterà bene. Negli archivi il suo nome ricorre più che altro per uno storico sondaggio tra gli autotrasportatori, che la designarono come la deputata più sexy. Notizia che desta nell’animo della Melchiorre reazioni contrastanti: talora la ricorda con orgoglio; ma quando qualcuno la cita in un articolo lei replica indignata per «la strumentalizzazione del corpo della donna» e ricordando di essere pur sempre la fondatrice del movimento «Noi donne giuriste». «La discussione», come la gloriosa rivista democristiana, si chiama invece il movimento dell’on. Gianpiero Catone, ex Dc eletto con il Pdl e ora passato a Futuro e Libertà. Catone sosterrà il governo, però essendo diventato finiano il suo voto non conta per fare 316. Ma dai finiani, dopo un’estate di angosce, torna nel Pdl la deputata italo-marocchina Souad Sbai, suscitando una disputa tra futuristi. Il «falco» Fabio Granata si cala nella logica del calciomercato e fa notare che la sua squadra ci guadagna: «Meglio Catone che la Sbai!». I suoi rivali interni, le «colombe» Silvano Moffa, Roberto Menia, Pasquale Viespoli e Andrea Ronchi rispondono con un comunicato: «Tra Catone e la Sbai, il peggiore è Granata!». Controreplica: «Non ho fatto valutazioni politiche e men che meno personali tra la Sbai e Catone». Le valutazioni di Granata erano, all’evidenza, calcistiche. Per qualcuno l’avvicinamento a Berlusconi non sarebbe che un ritorno alla casa del padre. Di Massimo Calearo i maligni raccontano che, quand’era presidente di Federmeccanica, avesse come suoneria del telefonino il rimpianto inno azzurro: «Dai Forza Italia/che siamo tantissimiii!». La sua candidatura con Veltroni gettò nello sconcerto pure gli anziani genitori. Ora ha traslocato nell’Api di Rutelli, e fa sapere di essere pronto a un altro passetto a destra, meglio se ricompensato da un ruolo all’altezza delle sue capacità di lavoro. Se poi la cacciano dall’Api? «Mi fanno ridere, mi fanno». E Paola Binetti, che dal Pd è andata invece nell’Udc, cosa farà? «Io non voterò con il governo, né per il governo. Tanto non ci sarà la fiducia. Per questo non ci si dovrebbe concentrare sui numeri, bensì sul meccanismo della sessione del 29 settembre: come si svolgerà? Se non c’è la fiducia, che altro? Puro discorso? Mozioni? Solo la mozione del governo? Altre mozioni?». Poi ci sarebbero i cinque rimasti fedeli all’Mpa e a Lombardo, indecisi tra il sì e l’astensione. Il vero dubbio è: contano o no per arrivare a quota 316? Il loro leader ha appena defenestrato prima il Pdl versione Schifani-Alfano, poi il Pdl versione Micciché, per fare il ribaltone e imbarcare in maggioranza il Pd e i finiani, come ai bei tempi della giunta Milazzo con comunisti e missini. A Roma, Lombardo vorrebbe contrattare di volta in volta l’appoggio al governo, per farlo sopravvivere in cambio di denari per la Sicilia; proprio quel che la Lega ha sempre chiesto di evitare. Fuori dalla maggioranza, dall’altro ieri e chissà per quanto, Deodato Scanderebech. Nel ’94 fondò il primo club di Forza Italia del Piemonte e organizzò la campagna dello psichiatra Meluzzi — indimenticabile la sua battuta: «Il cervello di Meluzzi sono io» — battendo clamorosamente Chiamparino nel sacro collegio di Mirafiori. Molto popolare per l’abitudine di regalare agli elettori non solo delicatezze gastronomiche ma anche kit con dentifricio e spazzolino, Scanderebech — torinese di origini leccesi e nome a l b a n e s e — n e l 2008 fu il primo dei non eletti nell’Udc. È entrato in Parlamento al posto di Vietti, ma nel frattempo era passato a destra, appoggiando il leghista Cota con una contestata lista personale. Adesso è ritornato con l’Udc: «Sono stato due mesi nella maggioranza e non mi ha cercato nessuno. Completa nullafacenza». Un voto sicuro è invece il repubblicano Nucara, il cui ruolo appare però ridimensionato: avrebbe dovuto essere i l r ecl utatore del Gruppo di responsabilità nazionale, ma è stato sconfessato un po’ da tutti. «Mai si sono visti dieci democristiani accorrere al richiamo di un repubblicano» ha commentato Mastella, scandalizzato. E Saverio Romano, segretario dell’Udc siciliana: «Non conosco l’onorevole Nucara e non so cosa stia facendo». Traduzione: io tratto direttamente con Berlusconi. Come Francesco Pionati, già figlio del sindaco Dc di Avellino, figlioccio di De Mita — in senso tecnico: fu suo padrino di battesimo e pure testimone di nozze — anchorman del Tg1, deputato udc, ospite di Berlusconi a una fatidica cena organizzata da Stefania Gigante segretaria di Cesa poi licenziata, fondatore del movimento «Alleanza di centro», e ora finalmente approdato tra le braccia del capo. Nei prossimi giorni arriveranno da più parti smentite indignate: «Come v i pe r mett e t e di dubi t a r e di me?». Poi, mercoledì, si potrebbe scoprire che nel giorno del giudizio universale in realtà non succede nulla. La Lega, fa sapere informalmente l’ex Guardasigilli Castelli, non considera più dirimente quota 316. Finché i finiani sono fedeli, si va avanti. Quando non lo saranno più, si andrà a votare. «Non abbiamo paura delle urne. Noi».