Hugo Dixon, La Stampa 25/9/2010, 25 settembre 2010
PER COLPA DELLA POLITICA È DIFFICILE SOSTITUIRE PROFUMO
Il fallimento del consiglio d’amministrazione di Unicredit è peggiore di quello di Hsbc. La governance della banca italiana è più complicata e il licenziamento del suo ad è più drammatico di quello avvenuto nella banca britannica. Trovare un nuovo ad col carattere per opporsi ai politici locali e nazionali sarà un compito difficile. Non c’è da stupirsi che il titolo Unicredit sia sceso. Alessandro Profumo, ex ad di Unicredit, era tutt’altro che perfetto - la sua espansione nell’Est Europa tramite con Hvb ha influito negativamente sul valore della banca. Ma dagli investitori esteri era visto come un baluardo tra la gestione efficiente della banca e il covo di vipere della politica italiana. Profumo aveva in gran parte tenuto a bada le fondazioni che hanno una notevole quota del capitale di Unicredit e una folta rappresentanza in Cda. Era anche riuscito a tenersi fuori dagli accordi poco chiari di Roma - sebbene avesse macchiato la sua reputazione quando aveva aiutato il banchiere Cesare Geronzi a diventare presidente di Mediobanca al prezzo dell’acquisizione di Capitalia.
Unicredit è una banca d’importanza sistemica, non solo per l’Italia ma per l’Europa. Non sorprende che la Banca d’Italia abbia chiesto al Cda di trovare rapidamente un forte candidato. Ma questo è più facile a dirsi che a farsi. Finora, i candidati esterni di cui si parla non sembrano convincenti. Vittorio Grilli, responsabile del Dipartimento del ministero del Tesoro è un alto funzionario pubblico, non un banchiere. Mario Greco, ad Zurich Life, è un esperto assicurativo, non un banchiere. Andrea Orcel, top manager di BofA-Merrill Lynch è un banchiere d’affari, non un banchiere commerciale. Matteo Arpe, ex ad di Capitalia, è un banchiere ma non piace a tutti. Ci sono anche candidati interni. Profumo aveva quattro vice ad. Ma chiunque sarà nominato dovrà sempre lavorare con le limitazioni imposte dalle fondazioni e dalla politica. Profumo è stato in grado di resistere alle pressioni per indurlo a favorire gruppi particolari grazie al suo carattere forte e perché negli ultimi 15 anni aveva trasformato Unicredit da una piccola banca regionale a un gigante europeo. Il suo successore deve fare lo stesso. /
Il mercato delle fusioni e acquisizioni (M&A) sta dando l’impressione di essersi ripreso dopo un disastroso 2009. Ma l’aumento del 21% dei volumi annunciati di M&A nei primi nove mesi dell’anno è stato attenuato da una manciata di offerte di grande successo, come l’assalto di Bhp Billiton a Potash Corp, e da un debole periodo comparabile dell’anno scorso. Ci sono tutti gli ingredienti per una vera esplosione di accordi. I bilanci delle società sono robusti, i finanziamenti a buon mercato sono disponibili per le giuste transazioni e le società stanno inseguendo la crescita o cercando opportunità per tagliare i costi. Eppure, la ripresa dell’attività di M&A è ancora caratterizzata da oscillazioni. Il fascino dei mercati emergenti e il contesto più forte negli Stati Uniti hanno provocato una ripresa. I volumi degli accordi sono cresciuti del 120% all’anno per Africa, Medio Oriente e Asia centrale, del 7% per Asia Pacifico e del 39% negli Usa. Ma il quadro sembra negativo in Europa, dove rimangono le preoccupazioni per la solvibilità dei Paesi periferici dell’area euro. Qui, i volumi di M&A sono scesi dell’8%, portando la quota degli accordi totali stipulati nella regione solo il 25%.
Le economie che viaggiano a velocità differenti potrebbero in parte spiegare la disuguale ripresa delle stipulazioni di accordi. Ma è anche possibile che le scosse di assestamento della crisi sul mercato del credito e della crisi abbiano avuto un impatto maggiore sulla psiche dei Cda di quanto gli ad vogliano ammettere. Naturalmente, gli ad non dicono di aver perso esuberanza e coraggio e parlano, invece, di mancanza di visibilità. Ma la prova aneddotica dei banchieri M&A è che una mancanza di fiducia degli ad stia frenando l’attività. Inoltre, gli ad stanno assistendo a un aumento dei prezzi delle loro azioni e dei piani di incentivi azionari a fronte del recupero dei mercati azionari. Perché metterli a rischio con uno scioccante annuncio di accordi? Questo spostamento verso un maggior numero di accordi in Asia sarà forse un cambiamento strutturale a più lungo termine. /