Mattia Bernardo Bagnoli, La Stampa 25/9/2010, 25 settembre 2010
CHI PAGA LE BOLLETTE DI CORTE? LA REGINA CHIEDE SOLDI AI POVERI
La Regina è in bolletta. È con un misto d’incredulità e fastidio che i britannici da due giorni leggono sui giornali delle difficoltà finanziarie lamentate dalla casa reale nei confronti del governo. I quattrini passati dallo Stato a sua Maestà per la manutenzione dei palazzi non bastano, dicono i funzionari di Buckingham Palace. Risultato: le spese aumentano, i debiti salgono e i conti non vengono saldati in tempo. Regina Elisabetta II insomma, come capita talvolta ai comuni mortali paga i fornitori con notevole ritardo.
Ecco allora che, per aiutare la sovrana a sbarcare il lunario, i consiglieri di corte le provano tutte. Incluso chiedere all’esecutivo di poter accedere ai sussidi di povertà previsti per accendere il riscaldamento nelle strutture pubbliche come come ospedali, case popolari, consigli comunali, scuole. Il governo, evidentemente colto alla sprovvista dall’insolita richiesta, prima ci pensa su, poi risponde «no» e infine manda gli ispettori a palazzo. E solleva la domande più «insolente»: «Scusi, Sua altezza, ma lei come spende il denaro?»
La saga, che a prima vista può apparire surreale,è invece scritta nero su bianco in centinaia di documenti ottenuti dal quotidiano liberale Independent - dopo un braccio di ferro legale durato tre anni - grazie al Freedom of Information Act, la legge che obbliga nel Regno Unito la pubblica amministrazione a rendere disponibili alcune informazioni ai cittadini. Il faldone - o almeno, la parte sino ad ora pubblicata - copre le corrispondenze tra Buckingham Palace e il governo a partire dai primi mesi del 2004, ovvero quando a Downing Street sedeva ancora Tony Blair.
I funzionari di corte ai mandarini del ministero della Cultura dei Media e dello Sport, ovvero quello che si occupa delle spese di sua Maestà, fecero notare che i conti delle bollette del gas e dell’elettricità erano aumentati in un solo anno del 50% - oltre 1 milione di sterline - diventando così per la Regina «insostenibili». Da qui la richiesta di sussidi. Che vengono negati in agosto. «I fondi - spiegò un funzionario - sono indirizzati a persone dal basso reddito. Figuriamoci quale potrebbe essere la reazione della stampa se i finanziamenti destinati a un ospedale dovessero finire a coprire le spese di Palazzo».
Alla base della contesa, vecchia peraltro di secoli, da quando cioè Carlo I perse (letteralmente) la testa per aver cercato d’imporre al Parlamento la nozione che «Re e Regine rispondono delle loro azioni solo davanti a Dio», vi è la questione «dell’assegno di mantenimento» passato annualmente dai contribuenti alla famiglia reale. Ovvero quel «Head of State expenditure» che compensa il monarca per aver rinunciato a godere dei frutti del Crown Estate, i beni patrimoniali un tempo di proprietà esclusiva del sovrano. Un gruzzoletto che, fanno notare a Buckingham Palace, vale allo Stato ben 230 milioni di sterline all’anno. In cambio la Regina riceve (dati del biennio 2009-2010) 38,2 milioni annui: 14,2 servono a coprire le spese per gli impegni pubblici della famiglia reale - Elisabetta II è pur sempre il Capo della Stato della Gran Bretagna e di un bel numero di Paesi del Commonwealth - mentre 19,7 milioni servono per mantenere i palazzi, Buckingham Palace e Windsor in testa. Fatti i conti, la Corona costa oggi ai contribuenti 62 pence a testa ogni 365 giorni. Molto meno di un caffè in un bar di Londra. Un lusso tutto sommato molto abbordabile, soprattutto se confrontato con altri apparati dello Stato. Eppure, sia tra l’opinione pubblica che tra i banchi della Camera dei Comuni, la sensazione è che i quattrini versati a sua Maestà siano troppi. Ecco dunque che la lotta tra Corona e governo raccontata dall’Independent si conclude, nel 2006, con l’esautorazione della casa reale dalla gestione dell’assegno dei contribuenti. «Non sembra una gran notizia - spiega Gary Slapper, esperto in diritto costituzionale della Open University - ma si tratta in realtà dell’addio alle ultime vestigia del potere monarchico».
Insomma, Westminster potrà mettere il naso persino nella «paghetta» di Elisabetta II. Che per fortuna può consolarsi con l’ingente patrimonio personale il cui ammontare preciso nessuno conosce: questione di sicurezza nazionale.