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 2010  settembre 25 Sabato calendario

Giuseppe D’Avanzo 23/9/2010 Ora, tra Berlusconi e Fini, tutto ritorna in alto mare. Come prima. Se è possibile, peggio di prima

Giuseppe D’Avanzo 23/9/2010 Ora, tra Berlusconi e Fini, tutto ritorna in alto mare. Come prima. Se è possibile, peggio di prima. Molto peggio. Va per aria la pace concordata per scrivere insieme una legge immunitaria costituzionale e quindi la road map che avrebbe consentito al governo di vivacchiare per lo meno fino ai primi mesi del 2012 quando il referendum confermativo avrebbe dovuto decidere il destino della legislatura. Che cosa è accaduto? Perché il presidente della Camera ha chiesto ai suoi "ambasciatori" Italo Bocchino e Giulia Bongiorno di chiudere ogni canale di comunicazione e trattativa con il ministro della Giustizia Alfano e l´avvocato del Cavaliere Ghedini? Quali evidenze hanno convinto Fini che quella trattativa politico-legislativa è una falsa trattativa, una trappola, soltanto un modo per temporeggiare in attesa che si concluda il character assassination; una parentesi tattica per dar modo agli "assassini politici" di concludere il lavoro sporco di demolizione di ogni affidabilità pubblica del co-fondatore del Popolo della Libertà? La risposta che si raccoglie negli ambienti vicini al presidente della Camera non è ambigua: «Fini ha qualche prova e la ragionevole certezza che le informazioni distruttive che ogni giorno vengono pubblicate da il Giornale e Libero, controllati dal presidente del Consiglio, sono fabbricate in un circuito che fa capo direttamente a Silvio Berlusconi». Fini, nel pomeriggio di ieri, può dire ai suoi "ambasciatori" che quel che gli viene riferito, quel che gli viene mostrato, quel che ha accertato con indagini private non lascia spazio al dubbio. Gli uomini più esposti nell´aggressione riferiscono passo dopo passo del loro lavoro e delle loro mosse al Cavaliere. Che martedì, alla vigilia del titolo "Fini ha mentito, ecco le prove", ha incontrato Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti, i "sicari" del Giornale, e ieri Amedeo Laboccetta, il parlamentare del Pdl, vecchio esponente napoletano di An, capace di «muovere le cose» nei Caraibi grazie all´influenza di Francesco Corallo. Altro nome chiave - Francesco Corallo - di questa storia. Figlio di Gaetano, detto Tanino, latitante catanese legato al boss di Cosa Nostra Nitto Santapaola, Francesco Corallo è nei Caraibi «l´imperatore di Saint Maarten», dove gestisce con attività collegate a Santo Domingo alberghi, un giornale, quattro casinò con l´Atlantis World, multinazionale off-shore, partner dei nostri Monopoli di Stato nel business (complessivamente 4 miliardi di euro) delle slot machines ufficiali. Le mani che s´intravedono nella "macchina del fango" che muove contro Fini da mesi sono di Berlusconi, Feltri, Angelucci (editore di Libero), Laboccetta (Corallo), dicono senza cautela gli uomini del presidente della Camera. «Non è più il tempo della prudenza. Abbiamo sufficienti informazioni per poter ricostruire che cosa è accaduto e per responsabilità di chi». Gli uomini di Fini hanno isolato otto questioni «decisive per capire» e Flavia Perina, direttora del Secolo d´Italia, le ha ordinate come se fossero domande. «È vero, come ha scritto Libero che c´è un rapporto personale tra l´ex primo ministro di Santa Lucia e Silvio Berlusconi che "deve far tremare Fini" (nell´isola di Santa Lucia è registrata la società proprietaria dell´appartamento di Montecarlo affittato dal cognato di Fini, ndr)? È vero, come ha scritto il Giornale il 17 settembre scorso che sono stati inviati a Santa Lucia agenti dei Servizi e della Guardia di finanza, e chi li ha mandati? È vero che a Santa Lucia ci sono, e da tempo, inviati della testata di Paolo Berlusconi, il Giornale e del mondadoriano Panorama? E´ vero che la lettera di Rudolph Francis, con la dicitura "riservata e confidenziale" è stata fatta filtrare alla stampa estera attraverso un sito di Santo Domingo, località di residenza - guarda caso - di Luciano Gaucci? E´ solo una coincidenza che Gaucci sia la "mina vagante" della stagione dei talk show, indicato negli scorsi giorni come possibile ospite eccellente di Matrix, l´Ultima Parola e persino Quelli che il calcio? Cosa significa l´ambigua nota in coda alla lettera di Francis "le nostre indagini restano in corso in una prospettiva di una determinazione finale"? E ancora, come è immaginabile che il ministro di un paradiso fiscale giudichi "pubblicità negativa" la segretezza delle società off-shore, posto che essa è il principale motivo per cui il suo Paese sta in piedi? Dice niente a nessuno il fatto che l´attuale editore di El National, Ramon Baez Figueroa, sia anche proprietario di diverse reti televisive come Telecanal e Supercanal?». Gli otto dubbi retorici consentono di ricostruire il puzzle che, benché ancora monco, Gianfranco Fini ha sotto gli occhi. Indagini private gli hanno confermato che Giancarlo Tulliani non è il proprietario dell´appartamento di Montecarlo. Sospiro di sollievo: il giovane cognato avrebbe sempre potuto mentirgli ostinatamente, e fino ad oggi. Con la certezza dell´estraneità di Tulliani, Fini ha potuto sistemare meglio le altre tessere del mosaico. Si è chiesto: ma è ragionevole che un´isola (Santa Lucia) che vive con la leva della sua legislazione offshore si dia da fare per svelare i nomi dei proprietari di una società registrata in quel paradiso fiscale? Un non-sense. Epperò perché il ministro di Giustizia scrive che è Tulliani il proprietario delle sue società sospette? Ma è vero che questo ha scritto quel ministro? E´ autentica quella lettera o su carta intestata (autentica) è stata sovrapposto un testo apocrifo? La lettera se la sono rigirata a lungo tra le mani, ieri, Giulia Bongiorno e Italo Bocchino e hanno concluso che o la lettera è del tutto falsa o, anche se non lo è, non aggiunge nulla di nuovo a quel che si sa perché conferma che, secondo fonti monegasche, Giancarlo Tulliani è il «beneficiario dell´appartamento» che potrebbe voler dire soltanto che Tulliani è - bella scoperta, a questo punto - l´affittuario dell´immobile. Gianfranco Fini è apparso più interessato a ricostruire, con le informazioni che ha a disposizione, lungo quale canale e con quali protagonisti quella lettera manipolata si sia messa in movimento consapevole che il mandante dell´assassinio politico provochi la fuga di notizie rimanendo al di fuori della mischia. Dicono che sul tavolo intorno a cui Fini ha incontrato i suoi collaboratori sia rimasto a lungo un foglio, presto annotato con nomi, frecce, connessioni. Lo si può ricostruire così. Uomini dei servizi segreti o della Guardia di finanza raggiungono Santa Lucia (la notizia è del Giornale). Devono soltanto sovrintendere che «le cose vadano nel verso giusto», che quel ministro di giustizia dica quel che deve o fornisca le lettere con intestazione originale che necessitano. E´ stato lo stesso Silvio Berlusconi a predisporre le cose potendo contare sul «rapporto personale tra l´ex ministro di Santa Lucia e il nostro presidente del Consiglio». Un legame (notizia di Libero) che «deve far tremare Fini». Bene, viene confezionato il falso. Ora deve arrivare in Italia senza l´impronta digitale del mandante. Bisogna seguire le frecce sul foglio dinanzi a Gianfranco Fini. Da Santa Lucia la lettera farlocca (o ambigua) arriva su un sito e poi nelle redazioni di due giornali di Santo Domingo. Da qui afferrata come per una pesca miracolosa dal sito Dagospia. Ora - gli uomini di Fini chiedono - chi ispira Dagospia? Credono di saperlo. Anzi, dicono di saperlo con certezza: «Dagospia, sostenuto dai finanziamenti di Eni ed Enel, è governato nelle informazioni più sensibili da Luigi Bisignani, il piduista, l´uomo delle nomine delicate, braccio destro operativo di Gianni Letta dal suo ufficio di piazza Mignanelli». Da Dagospia l´informazione manipolata slitterà sulle prime pagine di Giornale e Libero. Che potranno dire: abbiamo rilanciato soltanto una notizia pubblicata dalla stampa internazionale. Una menzogna che tace e copre e manipola quanto ormai è chiaro a tutti dal character assassination di Veronica Lario, Dino Boffo, Raimondo Mesiano, Piero Marrazzo e ancora prima di Piero Fassino. Il giornalismo, diventato tecnica sovietica di disinformazione, alterato in calunnia, non ha nulla a che fare con queste pratiche che non sono altro che un sistema di dominio, un dispositivo di potere. Uno stesso soggetto, Silvio Berlusconi, ordina la raccolta del fango, quando non lo costruisce. Dispone, per la bisogna, di risorse finanziarie illimitate; di direzioni e redazioni; di collaboratori e strutture private; di funzionari disinvolti nelle burocrazie della sicurezza, magari di «paesi amici e non alleati». Non ha bisogno di convincere nessuno a pubblicare quella robaccia. Se la pubblica da sé, sui suoi media, e ne dispone la priorità su quelli che influenza per posizione politica. È questa la «meccanica» che abbiano sotto gli occhi da più di un anno e bisogna scorgere - della «macchina» - la spaventosa pericolosità e l´assoluta anomalia che va oltre lo stupefacente e noto conflitto d´interessi. Quel che ci viene svelato in queste ore ancora una volta, con l´"assassinio" di Gianfranco Fini, è un sistema di dominio, una tecnica di intimidazione che minaccia l´indipendenza delle persone, l´autonomia del loro pensiero e delle loro parole. Il presidente della Camera sembra determinato a spezzare il gioco e, saltato il tavolo della non belligeranza, la partita APPARE SOLTAnto all’inizio e sarà la partita finale Giuseoppe D’Avanzo 24 settembre 2010 Cominciano a manifestarsi fatti solidi e addirittura qualche nome. La dinamica della "macchina del fango", ingolfata di documenti falsi, s´inceppa e rincula – come sempre: è già accaduto per l´assassinio mediatico del direttore dell´Avvenire, Dino Boffo. Conviene indicare subito i fatti. I "sicari" pubblicano un documento del ministro della Giustizia dell´isola caraibica off-shore Santa Lucia dove sono custodite le società proprietarie della casa monegasca affittata dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. Il documento attribuisce al "parente" la diretta proprietà dell´appartamento. Il foglio ministeriale, pubblicato da due quotidiani di Santo Domingo (El Nacional, Listin Diario), ripreso in Italia dal sito Dagospia, rilanciato con molto rumore e definitive, incaute certezze da il Giornale e Libero appare anche alla luce del solo buon senso una frottola abborracciata alla meglio. Che interesse può avere un paradiso fiscale a svelare alla prima pressione il nome del proprietario di una società nata nei Caraibi proprio per proteggersi con l´anonimato? Chiunque comprende che sarebbe stata una irragionevole leggerezza perché è plausibile il rischio di perdere, in pochi giorni e per quella bocca larga, decine di migliaia di presenze incognite e senza nome che fanno prosperare quell´isola. È stata, mercoledì, la prima delle obiezioni del "cerchio stretto" del presidente della Camera. Oggi quell´intuito si è irrobustito con un´evidenza. La tipografia di Stato di Santa Lucia – la National printing corporation – nega che il documento che avrebbe dovuto affondare Giancarlo Tulliani, e con lui la terza carica della Stato, sia autentico. Il carattere originale della scritta Attorney – General´s Chambers è differente da quello pubblicato dai quotidiani domenicani e italiani. Spiega un funzionario della National printing corporation al ilfattoquotidiano.it: "Non ho memoria che ci abbiamo mai chiesto di cambiare carattere. E noi non riforniamo carte intestate digitali, ma solo stampate". Si può farla breve. Quel documento è stato manipolato. E´ del tutto artefatto. Nemmeno la carta intestata è autentica e, se non lo è l´intestazione, non può esserlo a maggior ragione il contenuto. A questo punto, è necessario chiedersi chi ha confezionato l´inganno. Da quarant´otto ore, il presidente della Camera e i suoi collaboratori si dicono convinti di aver rintracciato il mandante politico, gli "assassini", le mosse dell´agguato che avrebbe dovuto cancellare il futuro politico di Gianfranco Fini, distruggerne la rispettabilità personale, costringerlo alle dimissioni e all´oblio. Fini è così convinto di essere venuto a capo della "manovra", così persuaso che dietro il "falso" ci siano le "manine" organizzate da Silvio Berlusconi che dispone la fine immediata di ogni trattativa politica per individuare il percorso più rapido e protetto per consegnare al Cavaliere una legge immunitaria per via costituzionale. E´ una decisione che apre una partita mortale che non prevede il pareggio. Uno dei due antagonisti dovrà soccombere. Non se lo nascondono i più stretti collaboratori di Fini se si decidono a dire, come fa Italo Bocchino, "il dossier è stato prodotto ad arte da una persona molto vicina a Berlusconi che ha girato per il Sudamerica, di cui al momento opportuno saprete il nome". "Comunicheremo nelle forme adeguate chi è la persona che si è premurata di costruire questa patacca", aggiunge Fabio Granata. Ora è necessario ricostruire quel che il presidente della Camera e il suo staff hanno messo insieme per poter accusare il Cavaliere. Dicono i fedelissimi di Gianfranco Fini che bisogna riordinare passo dopo passo, notizia dopo notizia, come è stata montata e da chi la trappola. La prima mossa, 15 settembre, la si scorge nel notiziario dell´agenzia di stampa il Velino, di proprietà di Daniele Capezzone, portavoce del Popolo della Libertà. "Anche la casa di Montecarlo nelle maglie della nostra intelligence e delle Fiamme Gialle?", si chiede Vittorugo Mangiavillano. Questo Mangiavillano – ricordano i finiani – "è da sempre ritenuto pedina giornalistica dei servizi segreti e di manovre oscure e tossiche. Lo si vede tra le quinte della stagione dei veleni che colpì alla fine degli anni ottanta Falcone e il pool di Palermo. Ora scrive – e dà una notizia – ‘Gli 007 italiani e la Guardia di finanza da tempo hanno iniziato a controllare le società che, direttamente o indirettamente, hanno rapporti con la pubblica amministrazione. E la Printemps (proprietaria della casa di Montecarlo) sarebbe stata costruita da italiani o da prestanomi di italiani´". Passano due giorni e, il 17 settembre, la rivelazione di Mangiavillano si trasferisce nelle colonne del Giornale sotto il titolo "I servizi segreti seguono la pista che porta ai Caraibi". Quello stesso giorno i tre direttori del servizi segreti (Dis, Aise, Aisi) smentiscono che l´intelligence italiana si stia occupando di quell´affare. "Naturalmente, dicono gli uomini di Fini, nessuno ha mai pensato che i Servizi mettessero le mani in questo pozzo nero. Ma quelle notizie, la loro provenienza, la credibilità che ricevevano da redazioni molto prossime al governo sono suonate alle nostre orecchie come un campanello d´allarme. Ci siamo chiesti: ci sono agenti segreti che si sono messi al lavoro privatamente su input non istituzionali, anche se molto autorevoli? Per trovare una risposta accettabile a questa domanda abbiamo interrogato fonti nazionali e internazionali". Anche internazionali perché, come ha argomentato Italo Bocchino ad Annozero, "ciò che accade in Italia, in un´Italia schiacciata alquanto supinamente sugli interessi e l´amicizia di Putin e Gheddafi non lascia indifferenti i nostri alleati in Occidente". Da qui, da nostri alleati impensieriti per la nostra politica internazionale – lasciano capire gli uomini di Fini – è venuta la prima indicazione del nome di chi si è mosso nei Caraibi per confezionare e diffondere il falso documento del ministro di Santa Lucia. Lo stesso nome – aggiungono fonti di Futuro e Libertà – è saltato fuori da un autorevole fonte interna. E´ ora di farlo, questo nome: Valter Lavitola. Difficile definire Lavitola. Imprenditore del pesce in Brasile (Empresa Pesqueira de barra de Sao Joao Lida, Rio de Janeiro). Editore e direttore dell´Avanti!. Politico ambizioso ma di piccolo cabotaggio che si muove frenetico da un partito ad un altro per approdare infine prima nell´Italia dei Valori e infine nel Popolo della Libertà, dove Berlusconi chiede di candidarlo "perché ci ha dato una mano ad acquisire qualche senatore utile a far cadere il governo Prodi". Lavitola deve aver fatto proprio un buon lavoro perché sarà candidato alle Europee 2004. Gli va male, ma – come oggi ricordano i finiani – "Berlusconi gli compra l´Avanti! e soprattutto ne fa il rappresentante del presidente del Consiglio per il Centro e Sud America". Un incarico ad personam che l´inner circle del Cavaliere digerisce male e che comunque gli consente di essere sull´aereo presidenziale quando Berlusconi visita in luglio Brasile e Panama. Lavitola avrà il suo momento di gloria quando si scopre che – per il piacere del Sultano –organizza a San Paolo, nella suite presidenziale dell´hotel Tivoli, una festicciola notturna con cinque ragazze e una celebre ballerina di lap dance. Questo è Valter Lavitola. Vediamo ora qual è – secondo i collaboratori del presidente della Camera – il suo ruolo nella trappola. "È Lavitola – ti raccontano – che briga ai Caraibi per confezionare il documento falso che accusa il cognato di Fini. Per quel che ci viene riferito è Lavitola che si procaccia la sua pubblicazione non nei giornali di Santa Lucia, che ancora oggi ignorano la storia, ma in quelli di Santo Domingo dove i due giornali concorrenti pubblicano lo stesso testo, parola per parola". "È Lavitola – continuano i finiani – che una volta rientrato in Italia consegna il falso direttamente nella mani di Berlusconi che lo gira, attraverso Daniela Santanché, alla direzione de il Giornale che, il giorno prima della pubblicazione del titolo "Ecco la prova" incontra il presidente del Consiglio per riceverne l´ultimo, definitivo placet". Questa è la ricostruzione messa insieme da Gianfranco Fini e dai suoi collaboratori. Una prima approssimata conclusione si può trarre. Se hanno ragione gli amici di Fini – e certo hanno ragione se il documento pubblicato dai giornali controllati dal presidente del Consiglio è farlocco –, il capo del governo muove una campagna ossessiva di calunnia e degradazione per condizionare la volontà e le decisioni della terza carica dello Stato. È la riproposizione dei sintomi di una democrazia malata. È, con i colpi che ancora lancerà il Cavaliere, il tema che terrà banco nei prossimi giorni. Giuseppe D’Avanzo, sabato 25 settembre 2010 Immaginiamo che noi si abbia un nemico che ci vuole vedere morti. Immaginiamo che questo nemico nella sua vita non sia mai andato troppo per il sottile nella difesa dei suoi interessi o in oblique pratiche che gli consentono di accrescere la sua fortuna. Immaginiamo addirittura che questo nostro nemico abbia dato nel tempo lampanti e documentatissime prove di saper corrompere capi di governo, ministri, giudici, parlamentari. Immaginiamo che anche in quest´occasione - la partita è mortale: o la vince o perde tutto - non rinunci ai suoi metodi spicci e convinca con buoni argomenti fruscianti o con qualche efficace minaccia un governo o un ministro di uno staterello off-shore a convocare una conferenza stampa per dire Tal dei Tali è il beneficiario di un trust nel nostro Paese. Immaginiamo che Tal dei Tali non sa niente di quel trust, come farà a difendersi? Quali leve potrà muovere per tirarsi fuori dai guai? La sua disarmata parola contro il ministro che magari ha firmato e autenticato un documento gonfio di menzogne. In questo caso, Tal dei Tali lo possiamo considerare colpevole e quindi fritto, morto, fottuto? Immaginiamo ora la deliziosa gioia del Corruttore, chiamiamolo così, se questo schema dovesse prevalere lasciando tutti confusi, senza parole, incapaci di vederne la trama e la pericolosità. Per il Corruttore il gioco si fa molto facile. L´operazione si potrà ripetere per tutti i suoi nemici o semplicemente contro chi gli sta sul gozzo. Che so, l´avversario politico, l´alleato dubbioso, il direttore di giornali disobbediente, il banchiere insofferente, l´anchorman non conforme. Un´accusa: quello, Pinco, ha i soldi all´estero. Un frusciante argomento o un´intimidazione tosta convince un ministro dello staterello. Zac, il bersaglio è affondato. Chi, oggi, si sbraccia gridando al "Verdetto", alla "Mazzata", al "Caso chiuso" invocando "Ora Fini si dimetta", "Ora chieda scusa" conferma che l´Italia è un Paese gobbo. Accade che un ministro di uno staterello dei Caraibi, Santa Lucia, dica: "Sì, quel documento l´ho scritto io" e manco fossero le tavole del Talmud quel che c´è scritto in quel foglio di carta diventa la Verità indiscutibile nel cerchio rumoroso e patetico dei sempre ostinatissimi "garantisti" di casa nostra e in una platea di osservatori e critici che si lascia confondere dallo strepito e dimentica di chiedersi che cosa accade? Che cosa ci è stato detto? Chi lo ha detto e come e perché? Il perché è decisivo in questo caso: non si è mai visto il governo di un paradiso fiscale convocare una conferenza stampa per svelare il beneficiario di un trust. Che cosa lo convinto a questo passo? Santa Lucia è un paradiso fiscale. Come tutti i centri off-shore, la riservatezza a tutela dei clienti è il vero valore aggiunto dei suoi servizi finanziari. Comunicare le generalità di un titolare di società è come se una banca svizzera pubblicasse spensieratamente i nomi dei titolari dei suoi conti correnti criptati. Potete crederlo? E allora perché dobbiamo credere senza un dubbio, senza un´esitazione, senza porre una domanda, che quest´allegro disvelamento possa avvenire in un paradiso fiscale del Caraibi? Per di più farlo - svelare i beneficiari di una società - è esplicitamente vietato dalla legge in quel Paese. «In Santa Lucia divulgare dati personali di un cliente senza la sua autorizzazione è un reato punibile con multa o prigione. Gli affari di una società off-shore possono essere rivelati solo quando il suo titolare è stato condannato nel suo Paese d´origine per un reato criminale valido anche per il sistema legislativo di St. Lucia». (www. stluciafinance. com/offshore-advantages. html, redatto dallo studio legale Glitzenhirn Augustin & Co. law practice). Giancarlo Tulliani non è stato condannato in Italia. Per quel che se ne sa non è stato mai nemmeno indagato. Se avesse rispettato la legge del suo Stato, il ministro di Giustizia Francis non avrebbe potuto fare né la conferenza stampa né il nome di Tulliani. Se si è deciso al passo, deve averlo fatto in stato di costrizione. Qual era questo stato di necessità? Lorenzo Rudolph Francis accenna alle improvvise difficoltà che il suo governo ha dovuto fronteggiare in questo lasso di tempo. Dice: "L´attenzione dei giornalisti italiani e - pare - la presenza dei servizi segreti stava danneggiando la reputazione della piccola isola che vive della sua riservatezza sulle vicende fiscali dei clienti». Giornalisti e servizi segreti, dunque. I giornalisti italiani (tre o quattro) sono arrivati a Santa Lucia soltanto negli ultimi giorni. A chi potevano far paura, poi? Qualche timore autentico devono averlo provocato gli agenti dei servizi segreti indicati dal ministro. Di quali servizi segreti? Ce n´erano di italiani? O anche di altri Paesi? E in questo caso, di quali Paesi? Chi hanno contattato? Su chi e con quali argomenti hanno mosso la loro pressione? Il ministro salva la faccia ripetendo che con quell´andirivieni di spioni aggressivi c´era "il rischio di danneggiare l´economia dell´isola". Si è così convinto a scrivere al primo ministro quella letterina riservata poi finita nelle redazioni di due giornali in un Paese, Santo Domingo, a mille miglia di distanza. Questo si comprende perché pubblicata a Santa Lucia quella nota avrebbe consegnato il cronista alla galera. "Non so come la lettera che ho scritto al primo ministro sia finita nelle mani dei giornalisti che l´hanno pubblicata», dice infine il ministro. E´ illegittimo credere che l´affare possa anche essere andato in un altro modo? Così: il governo pressato non dagli agenti segreti - mero strumento operativo - ma con ogni evidenza dai governi di quei servizi segreti abbia deciso di uscire dall´angolo concordando con quei Paesi, con quei governi la redazione del "confidencial memo" (con contenuti falsi, ma non importa), la "fuga" del documento verso le redazioni, la conferenza stampa del ministro per confermarne l´autenticità. Questo circuito tossico può davvero farci credere che il caso sia chiuso, che si possa credere alla scena organizzata ai Caraibi? Questo affare è ancora tutto da scrivere. Anche se le ugole ubbidienti del Sovrano, i Brighella che ne dirigono i giornali, gridano vittoria e pretendono o la genuflessione del vinto o, in alternativa, la sua decapitazione, il "caso" ci mostra soltanto due debolezze a confronto. Debole è stato finora Gianfranco Fini che, pur dichiarandosi assolutamente certo dell´estraneità di suo cognato alla proprietà dell´immobile di Montecarlo, non ha ancora mostrato in pubblico le ragioni di quella "certezza assoluta". Debole è anche Berlusconi che, come sempre quando è a mal partito (gli è capitato negli affari come in politica), si affida al lavoro sporco che non sempre gli addetti gli combinano a regola d´arte. Qualche volta gli incaricati si fanno beccare con le mani nel sacco e anche in questo caso hanno disseminato intorno più di una traccia. La partita mortale tra il capo del governo e il presidente della Camera non è ancora all´epilogo. Chi crede che poche parole di un ministro caraibico possano chiudere il match può sbagliarsi. E anche di grosso.