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 2010  settembre 24 Venerdì calendario

RADIOTRE SESSANT’ANNI SULL’ONDA

Se come vuole la leggenda Mike Bongiorno avrebbe insegnato la lingua nazionale a un popolo di semianalfabeti diviso tra mille dialetti, a chi, nel mondo dei media, venne affidato invece il compito di confortare l’alfabetizzatissima schiera di italiani – non così minoritaria come si crede – che sognava un paese capace di rinascere anche culturalmente? Il Terzo Programma (Radio Tre a partire dal 1976) nacque sessant’anni fa, il 1 ottobre del 1950, sotto la direzione di Alberto Mantelli. Si trattò di un evento rivoluzionario almeno sotto tre profili: 1) per la prima volta un canale tematico si proponeva come alternativa alla filosofia generalista che fino a quel momento aveva caratterizzato la radio (e che caratterizzerà in modo sempre più invasivo e insopportabile la televisione); 2) il tema scelto era la cultura; 3) questo nuovo canale radiofonico veniva diffuso grazie a una tecnologia quasi del tutto nuova per l’epoca: insieme al Terzo Programma, era praticamente nata l’fm.
La sera di quel primo ottobre 1950 fu dedicata al mito di Orfeo. Il palinsesto si apriva con una conversazione di Emilio Cecchi sulla natura del mito. A seguire, tre ascolti di grande valore storico e musicale: L’Orfeo di Claudio Monteverdi, Orfeo all’Inferno di Jacques Offenbach, e Orfeo di Igor Stravinskij. Nei giorni immediatamente successivi si continuerà a parlare di musica e ad ascoltarla, ci saranno approfondimenti letterari su Pirandello, Jean Cocteau, Victor Hugo, e ancora musica con Hector Berlioz e altre serate "a soggetto" (su Gide, su Schumann, sulla Vienna della Finis Austriae, sulla Parigi del 1830). Una rete tutta culturale dunque, di profilo decisamente alto, in sintonia con quello che più o meno negli stessi anni stava accadendo in paesi come la Francia o l’Inghilterra del Bbc Third Programme: era questa insomma la scommessa. L’impatto del Terzo Programma sugli ascoltatori radiofonici ebbe esiti interessanti quanto imprevisti, e fu la cartina di tornasole di un’Italia ancora poco censita sotto questo profilo. Si scoprì l’esistenza di un pubblico affamato di cultura, che apprezzava ma non si accontentava, che ringraziava anche affettuosamente per l’esistenza di un canale radiofonico capace di rendere sempre più remota l’esigenza di una "gita a Chiasso" (l’antidoto – mettere il naso fuori dai confini nazionali – che provocatoria-mente Alberto Arbasino consigliava per debellare il provincialismo culturale dell’Italia fascista e immediatamente post-fascista) ma che sapeva anche correggere, criticare, proporre... ascoltatori insomma che rilanciavano di continuo.
LA NASCITA della televisione, nel 1954, catalizzò ovviamente intorno a sé un pubblico in gran parte diverso da quello che seguiva il Terzo Programma, ma non si mise rispetto ad esso nella posizione di quasi insanabile contrapposizione che può esser-ci oggi – "quando sento parlare di cultura, metto la mano alla pistola", potrebbe dire con Goebbels l’attuale televisione generalista, e anche qualche nostro ministro. Se infatti da una parte la vecchia Rai parlava l’italiano di Mike Bongiorno (che era appunto un italiano televisivo, più povero e insipido di uno qualunque dei nostri dialetti, proprio mentre in radio a parlare di lingua e di dialetto in modo totalmente diverso venivano chiamati Bruno Migliorini e Giacomo Devoto) è pure vero che gli schermi televisivi dell’epoca non erano del tutto interdetti a gente come Eco, Calvino, Pasolini, Bene, Fo, e perché no Enzo Biagi. Così, a distanza di sessant’anni, la cosa più interessante da capire è probabilmente quale sia il ruolo di una radio culturale in un paese completamente mutato, stretto nella morsa di quella che in un recente saggio Massimo Panarari ha chiamato "l’egemonia sottoculturale". In un paese in cui la televisione è diventata inguardabile e la politica un degno specchio della televisione, a Radio Tre si continua invece a parlare di letteratura, di teatro, di scienza, di cinema, si mandano in diretta i concerti di musica classica, vengono interpellati ogni giorno scrittori, filosofi, registi, storici, musicisti... oppure si fa la radio fuori dalla radio (come lo speciale di quest’anno in diretta da Bologna nel trentennale della strage, o quello andato in onda dalla Casa della memoria e della storia di Roma, o la trasferta radiofonica dal festival teatrale di Santarcangelo). Si tratta dunque di un mondo fuori dal povero mondo italiano di questi anni? "Non un’isola felice, beata e separata", dice Marino Sinibaldi, direttore di Radio3 dall’agosto del 2009 nonché ideatore e conduttore per anni dell’ormai storica trasmissione Fahrenheit, "una penisola, semmai: ben attaccata al resto del mondo ma un po’ – o molto – diversa".
IN REALTÀ , con quasi tre milioni di ascoltatori al giorno e un incremento degli ascolti di oltre il venti punti secondo le ultime rilevazioni Audiradio, questa penisola nella penisola non è un rifugio per happy few e neanche un baluardo della resistenza culturale o semplicemente l’unica realtà mediatica sopravvissuta alla morte del servizio pubblico. Piuttosto, in questi anni Radio 3 è diventata uno dei più importanti luoghi di confronto per un’Italia parallela, viva e attiva, che frequenta le librerie, che continua ad andare a cinema e ai concerti, che si ritrova ai festival, che discute, si appassiona, prova a capire il proprio tempo, e cerca soprattutto di sintonizzarsi su un linguaggio molto diverso dal non-linguaggio di un mainstream sempre più autodistruttivo, nel tentativo di dimostrare e dimostrarsi infine che sì, un altro paese non è solo possibile, ma già esiste.