Giorgio Meletti, il Fatto Quotidiano 24/9/2010, 24 settembre 2010
IL BANCHIERE HA STRAPPATO ALTRI DODICI ANNI DI STIPENDIO
Effetti pratici non ce ne saranno. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, ha destato una certa impressione l’intervento della Banca d’Italia sulla super buonuscita di Alessandro Profumo.
Ai vertici dell’Unicredit è arrivata una lettera con cui gli uomini del governatore Mario Draghi, che hanno compiti di vigilanza sulle banche, ordinano perentoriamente di “far conoscere a questo Istituto i criteri utilizzati per determinare i compensi riconosciuti al sig. Profumo in relazione alla cessazione dell’incarico e le valutazioni effettuate per assicurare la piena conformità alle indicazioni regolamentari in materia di remunerazione e incentivazione”. La Banca d’Italia fa riferimento alle Istruzioni di vigilanza del 4 marzo 2008, con cui Draghi ha cercato di introdurre nel sistema del credito le prime regole sulla decenza dei compensi ai top manager, raccomandando criteri prudenti ed equilibrati. In realtà quel primo sistema di regole non fa riferimento diretto alle buonuscite. E infatti la liquidazione di Profumo è stata il risultato di una libera contrattazione, al termine della quale il banchiere genovese ha ottenuto, con i 40 milioni ormai noti, uno “scivolo” pari a dodici annualità del suo stipendio base: circa dieci volte il Tfr maturato, che, dopo quindici anni di lavoro terminati con uno stipendio base di 228 mila euro al mese, dovrebbe ammontare a circa 3,5-4 milioni di euro.
Come mai un manager della caratura di Profumo lascia il posto con una liquidazione così più alta del Tfr? Per due ragioni.
LA PRIMA è che normalmente i top manager stipulano dei contratti che già prevedono una congrua buonuscita in caso di siluramento o dimissioni. Questo grazie al fatto che spesso gli amministratori delegati, titolari di un contratto a termine, normalmente di tre anni, si fanno anche assumere come dirigenti con contratto a tempo indeterminato. Il caso più noto è quello di Paolo Scaroni: chiamato al vertice dell’Eni, si è fatto assumere come direttore generale della società petrolifera, con la clausola che al termine del mandato da amministratore delegato avrà diritto a rescindere il rapporto di lavoro dipendente incassando svariate annualità di stipendio.
Il caso di Profumo è diverso, perché quando fu nominato amministratore delegato era già dirigente, e quindi dipendente, della banca. E’ verosimile comunque che al momento della promozione, o successivamente, abbia contrattato una clausola simile a quella di Scaroni.
La seconda ragione di una liquidazione così alta è che, proprio in quanto dipendente, Profumo avrebbe teoricamente potuto reagire al siluramento in modo fantasioso. Per esempio subendo la revoca dei poteri di capo azienda, ma continuando ad andare tutti i giorni in ufficio, per passeggiare nei corridoi e chiedere notizie sulle pene del suo successore. Questa ipotesi del tutto estrema e volutamente grottesca serve a spiegare che al momento della rottura i legali di Profumo avevano qualche buona carta per tirare sul prezzo.
PER TUTTO il pomeriggio e la sera di martedì scorso gli avvocati hanno giocato il loro braccio di ferro. Lo stipendio di Profumo, come risulta dal bilancio Unicredit, nel 2009 è stato di circa 4 milioni e 300 mila euro. Questa cifra è composta per 470 mila euro dal compenso come consigliere d’amministrazione e amministratore delegato, più altri gettoni minori. Per 651 mila euro dal bonus per i brillanti risultati ottenuti nel corso dell’anno, e per 3 milioni e 195 mila euro dallo stipendio vero e proprio, quello da dirigente, cioè da dipendente.
Sulla base di quest’ultima cifra si è trattato l’accordo per lo scioglimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La banca è partita da un’offerta di nove annualità: circa 29 milioni, cifra probabilmente già aumentata rispetto alle clausole contrattate in passato. Profumo è partito invece dalla richiesta di 50 milioni, circa 15 anni di stipendio, notevolmente più alta dei patti sottoscritti, forse in considerazione delle modalità non eleganti del siluramento. In ogni caso i 29 milioni erano una cifra più bassa dei 31 presi nel 2007 da Matteo Arpe quando lasciò Capitalia dopo soli sei anni. Il braccio di ferro si è concluso a metà strada, dodici annualità: 3 milioni 195 mila euro per dodici fa 38 milioni 340 mila. Hanno arrotondato a 38,5. Poi hanno aggiunto 1,5 milioni per il patto di non concorrenza: per un anno Profumo non potrà fare il banchiere. Totale 40 milioni. Dai quali Profumo ha chiesto di toglierne due e darli alla Casa della Carità di Don Virginio Colmegna, a Milano. Direttamente da Unicredit, in modo da risparmiare sulle tasse.