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 2010  settembre 24 Venerdì calendario

AFRIKA BAMBAATAA

(Kevin Donovan) New York (Stati Uniti) 19 aprile 1957. Rapper • «Bronx, 1982: nel quartiere più duro di New York un deejay nero suona insieme due dischi dei Kraftwerk e ci inventa su una parte vocale rap. È l’atto di nascita ufficiale dell’hip hop, certificato da una diffida legale della band tedesca per l’uso non autorizzato di Trans Europe Express e Numbers. Ma Planet Rock, pur non arrivando mai nelle zone alte delle classifiche, segna una pagina di storia della musica popolare di oggi. A scriverla è stato Afrika Bambaataa [...] A creare l’hip hop non fu Kevin Donovan, il vero nome di Afrika Bambaataa: la leggenda racconta che nacque dalle improvvisazioni di Grandmaster Flash ai tempi del servizio militare, quando cantava seguendo il tempo con le marce dei soldati. 1978, la disco era per i borghesi e il punk per intellettuali ribelli, come i Talking Heads. Intanto New York aveva una lunga tradizione di reading, di poeti o aspiranti tali che declamavano in pubblico i propri versi: normale, in fondo, che il rap nascesse proprio lì. Bambaataa parte quando già i Sugarhill Gang sono diventati famosi con Rappers’ Delight, ma si spinge più in là; musicalmente osa l’inosabile, trasformando il gelido synth pop dei Kraftwerk in un funk ipermoderno, aiutandosi anche con una batteria elettronica. Nei testi c’è qualcosa di più delle rime strambe di tanti altri deejay che affollano le notti newyorchesi. In Planet Rock, ad esempio, compare un riferimento alla Zulu Nation, l’organizzazione politico-culturale di cui Afrika è il fondatore: pace, amore, fratellanza in nome della musica. Poco, certo, però dopo anni di lotta tra gang, il messaggio è chiaro: prendere coscienza della propria origine comune (nella cultura nera africana, ma anche della Giamaica), lavorare per un mondo di pace e armonia. Con il diffondersi dell’hip hop, la Zulu Nation arriva ovunque: musica da periferie urbane, che trova nei graffiti il suo segno visivo e nella breakdance il suo linguaggio del corpo. Poi la Zulu Nation comincia a impantanarsi in un misticismo preso a prestito dalle religioni degli antichi Egizi; il rap e l’hop hop diventano sempre più fenomeni commerciali. Arriva il successo di Keith Haring, che molti vedono come l’ennesimo scippo alla cultura dei neri, ma intanto Bambaataa firma altri brani seminali, Looking for the Perfect Beat e Renegades of Funk, ripreso diciassette anni dopo dai Rage Against the Machine. Bianchi pure loro, come Eminem, che oggi è il rapper più famoso del mondo. Nell’85 Afrika Bambaataa è tra gli ideatori di Sun City, un concept album contro l’apartheid: nel disco, voluto da Little Steven, ci sono, tra gli altri, Bono, due dei Rolling Stones, Lou Reed, George Harrison e Peter Gabriel. In seguito, collabora con quasi tutti i nomi che contano del pop, attraversando tre decenni di musica: Bill Laswell e John Lydon, la leggenda del soul James Brown e perfino Boy George. Ma non perde di vista l’impegno: nel ’90 organizza a Wembley una serata per festeggiare la liberazione di Nelson Mandela con rapper americani e inglesi. Senza quel concerto, chissà se Shakira avrebbe cantato Waka Waka a Johannesburg» (Bruno Ruffilli, “La Stampa” 15/7/2010).