ANDREA MALAGUTI, La Stampa 24/9/2010, pagina 12, 24 settembre 2010
Delhi fallisce il primo test da superpotenza - Adesso Nuova Delhi si vergogna come non si era mai vergognata prima
Delhi fallisce il primo test da superpotenza - Adesso Nuova Delhi si vergogna come non si era mai vergognata prima. Come se questo disastro dei Giochi del Commonwealth, ottenuti con mille sotterfugi per dimostrare al mondo la grandezza della nuova prodigiosa India, un tasso di crescita che corre verso il 9% e il sogno mai nascosto di raggiungere e scavalcare l’odiata Pechino, avesse sollevato l’elegante tappeto che nascondeva la cattiva coscienza di un Paese ancora fragile, poco organizzato, sporco, corrotto e dunque - ed è questo l’inaccettabile marchio d’infamia - inaffidabile. Sembrava banale ripetere il successo delle Olimpiadi cinesi del 2008, è diventato umiliante. «Il pianeta ci guarda, usciamo dall’imbarazzo», scrive il quotidiano The Hindu. E i blog delle università da Mumbai a Calcutta sono pieni di un’unica insistita preghiera: «Evitateci di precipitare ancora nello stereotipo di fogna del pianeta». Anni di rivincite e di successi messi in discussione da una festa sbagliata. Qual è la vera India? A dieci giorni dall’apertura della manifestazione, con Scozia, Nuova Zelanda e Canada che minacciano di rinunciare senza garanzie di sicurezza e di igiene, le minacce di attentati dal Pakistan si moltiplicano e il primo ministro Manmohan Singh, 77 anni, convoca d’urgenza un incontro con i ministri dello Sport e dello Sviluppo urbano per chiedere conto del bollettino di guerra che ogni giorno arriva sul suo tavolo. L’insoddisfazione dell’opposizione interna del Partito del Congresso, guidato da Sonia Gandhi, da sussurro si sta trasformando in boato, riportando in cima all’agenda politica la possibilità di un avvicendamento alla guida del governo. Swapan Dasgupta, analista del Times of India nota che «per quanto la solidità dell’esecutivo non sia in discussione (essendo in rotta i partiti d’opposizione) è difficile negare che gli avvenimenti di queste ore facciano riemergere nella mente di ciascuno la possibilità di un cambio di leadership». E Rauhl Gandhi, figlio di Sonia, meno attento di Singh alle liberalizzazioni e più legato alle esigenze degli ottocento milioni di contadini (poco più della popolazione) con un reddito medio di un dollaro al giorno, è il candidato unico alla successione. Le foto pubblicate a Londra e a New York dei bambini sporchi, denutriti, chinati sulle ginocchia per riavvitare i seggiolini dello stadio Jawarharlal Nerhu rischiano di travolgere non solo lo spirito di Giochi costati 3 miliardi di dollari, ma anche di rimodellare gli equilibri politici della nazione. I dettagli sugli sprechi e le tangenti si arricchiscono ogni momento raccontando di tapis roulant noleggiati per 13 mila sterline al giorno e di rotoli di carta igienica acquistati per 51 sterline l’uno. Quotati più dell’oro, che qualcuno si è messo in tasca. Due le inchieste in corso. Ostentando una incomprensibile sicurezza, incurante delle proteste internazionali, il ministro degli Esteri S.M. Krishna garantisce che nonostante il collasso del ponte che porta allo stadio, il crollo del tetto della palestra del sollevamento pesi e i 70 operai morti durante i lavori, «i 7000 atleti che gareggeranno tra il 3 e il 14 ottobre lasceranno Nuova Delhi con un sorriso», ma al villaggio olimpico solo 18 delle 34 palazzine destinate alle delegazioni di 70 Paesi sono pronte. Le immagini delle camere, dei bagni, dei corridoi, delle scale e dei cortili, rilanciate da Sky e dalla Bbc, mostrano lavelli spezzati, tubi arrugginiti, cumuli di escrementi negli angoli, cani che dormono sui materassi, fogne a cielo aperto e pozze piene di acqua marcia in cui galleggiano insetti morti. Due ciclisti indiani, Somvir e Vinod Malik, 23 e 25 anni, hanno contratto la «dengue fever», influenza potenzialmente letale trasmessa dalle zanzare. Ora le autorità locali temono un’epidemia. Secondo il Times gli atleti sono a rischio e centinaia di abitanti sarebbero stati trovati positivi ai test. «Molti più di quanti gli indiani ammettano». Potrebbe essere la pietra tombale sui Giochi. Eppure l’inarrivabile segretario generale del comitato organizzatore nazionale, Lalit Banhot, accusa i media di catastrofismo: «Le critiche non hanno senso e se non ci fosse stato il monsone ogni cosa sarebbe in ordine. Quanto alle obiezioni sulla pulizia è evidente che gli occidentali hanno standard diversi dai nostri». Il suo tesoriere, A.K. Mattoo ha una visione diametralmente opposta: «Stiamo andando incontro a un terribile fallimento». Non era questo il volto che l’India voleva mostrare, perché non è certamente questo il suo unico volto. Attorno al Jawarharlal Nerhu, pattugliato da decine di soldati in assetto antisommossa, in mezzo a una selva di gru, un formicaio di uomini e ragazzi supera fiumi di liquami camminando in bilico su assi di legno. Il cattivo odore fa girare la testa. Le carriole sono piene di detriti. Un operaio piuttosto sbronzo, appoggiato a un palo issato sul nulla, biascica: «Questo è un mondo unico», mentre una pioggia fitta e scura cancella il profilo nervoso di Nuova Delhi.