Elena Comelli, Nòva24 23/9/2010, 23 settembre 2010
PIANETA AFFOLLATO E PIÙ FRAGILE
L’anno prossimo saremo sette miliardi. Entro il 2050 l’umanità supererà il traguardo dei nove miliardi e il 97% di questa crescita demografica sarà concentrato in Asia, Africa e America Latina. Ma la quantità di terre coltivabili non è cambiata nell’ultimo mezzo secolo e non potrà crescere di molto: l’urbanizzazione, la salinizzazione del suolo e la desertificazione se le mangiano più rapidamente di quanto non si riesca ad ampliarle. Il riscaldamento del clima è un fattore importante in questo processo: l’ondata di caldo che ha colpito l’Europa nel 2003 e ha mandato l’Italia in blackout per la prima volta, ad esempio, ha anche ridotto i raccolti di un terzo quell’anno. Se i climatologi hanno ragione, entro il 2050 le estati europee saranno in media altrettanto calde e quindi il rendimento dei nostri campi è destinato a declinare: la fotosintesi delle piante locali funziona al meglio dai 20 ai 25° e molto male oltre i 30°. Si potrà intervenire variando le pratiche agricole, ma l’Europa è destinata ad affrontare sbalzi sempre maggiori anche nella piovosità, con inondazioni stagionali provocate dallo scioglimento dei ghiacciai.
Già oggi 925 milioni di persone soffrono la fame. Per decenni il tasso di denutrizione delle popolazioni nei paesi più poveri è calato, dal 35% della fine degli anni 60 al 16% del 2005-2006, ma da un paio d’anni ha ripreso a salire e ora sfiora il 20 per cento. Non è solo un problema di scarsità, ma anche di povertà: nel mondo si butta via il 30% del cibo coltivato e prodotto, ma un essere umano su sei soffre la fame perché non ha i soldi per comprarlo. La crisi del 2008, che ha spinto cento milioni di persone oltre la soglia della denutrizione, è stata causata dall’aumento dei prezzi del grano.
Abbiamo al massimo 40 anni per cambiare modo di coltivare i campi e per capire come ampliare i raccolti senza aggravare l’inquinamento e le emissioni di CO2. L’«intensificazione sostenibile» dell’agricoltura ha bisogno d’innovazione in ogni fase dei processi che portano dai campi alla forchetta, per produrre più cibo utilizzando meno acqua, fertilizzanti e pesticidi. Ma gli investimenti pubblici in ricerca agricola sono fermi sotto gli 800 miliardi di dollari l’anno, il 5% della spesa pubblica globale destinata alla ricerca. Questa cifra non cambia dagli anni 70, quando ha raggiunto il suo picco grazie alla "rivoluzione verde" di Norman Borlaug. Unica eccezione la Cina, dove i finanziamenti alla ricerca agricola sono raddoppiati nell’ultimo decennio.