Tonino Guerra, Corriere della Sera 23/09/2010, 23 settembre 2010
«STUDIATE MORAVIA, LUI SA SPIEGARCI LE COSE»
Moravia era la lampada più luminosa per noi quando io ero a Roma a fare del cinema, un uomo molto buono, molto, e chiuso nelle sue parole. Era luminoso dentro quelle parole, non aveva molto a che fare con le immagini. E io vorrei tanto che tra vent’anni si studiasse bene Moravia perché oggi stiamo dicendo cose stupide sulla realtà, invece di guardare a fondo il suo modo di dire delle cose, la sua lontananza dalla realtà essendoci conficcato dentro come un chiodo. Ma prima ancora bisogna studiare Pasolini. Pasolini non è capito e io vi dico che entro vent’anni sarà il cineasta più studiato per la sua forza incredibile, per il suo dare la sporcizia in modo elegante, per il suo coraggio di mettere la madre nel film: c’è una profondità di racconto in Pasolini che cancella il nostro essere provinciali.
Io con Moravia, assieme a Moravia, usando delle sue idee, ho scritto tre film: Le ore nude, L’occhio selvaggio, che è un bellissimo film, e La noia. Di Moravia ricordo il suo essere distante, come un protettore che poteva dirigere meglio la storia delle immagini, sulle quali lo calcolavo poco. Invece io e Fellini lo consideravamo molto per la storia, tanto che a metà o alla fine del film la battuta di Federico era sempre questa: «Che cosa ci dirà Moravia, che cosa ci aiuterà a capire quello che abbiamo fatto?». Perché una vera opera d’arte non è mai chiara: è molto interessante in quanto ha delle oscurità che vengono scoperte col tempo, questa è la cosa incredibile. E molte volte — vi dico — c’era un po’ di timidezza nei nostri confronti, perché se ci chiedevano che cosa volevamo dire solo Moravia ce lo poteva spiegare.
Mettere un romanzo sullo schermo, poi, significa tradirlo. Un romanzo è già una storia fatta. È già una storia che ha avuto la sua vita, mentre un regista deve creare la sua storia, quindi avere per le mani un romanzo è terrificante. I più grandi registi mai l’hanno voluto un romanzo tra le mani, a meno che, non so, mi ricordo che a Fellini gli americani gli dicevano «Facci l’Inferno di Dante» e quando eravamo veramente in difficoltà di danaro un giorno pensandoci mi ha detto: «Andiamo in manicomio», così sarebbe venuta fuori tutta un’altra storia, la storia di un manicomio di campagna. Un regista deve dare se stesso, deve inventare una cosa che sta in piedi, deve inventare un sogno per tutti. Non può un regista ripetere quello che ha già detto un altro, perché lo dirà sempre male. E a Elisabetta Sgarbi dico che se ha dei romanzi li bruci piuttosto che darli a un regista!
Moravia era sempre vicino come quelle guide che stanno a custodire le pecore, questo era.
Non vorrei che si parlasse molto in modo vecchio di questa persona non amata, amata per il suo primo libro, ma non è certo uno scrittore da compagnia forte. E invece bisogna guardare dentro le sue parole, i paesaggi dentro le sue parole, la sua cattiveria contro il mondo dentro le sue parole. È un autore che noi dovremmo capire, ma non siamo ancora in grado, stiamo avvicinandoci a questa distruzione di mondo che può avvicinarci, farci capire i suoi contatti, i suoi aspetti, il suo modo d’occhio che frugava nella realtà come se fosse un trapano.
Moravia era un uomo dolce, credo che mi abbia stimato molto conoscendomi poco: c’era una tenerezza per l’uomo che veniva dalla campagna, con il «vestito di velluto» come diceva la Ginzburg, e accanto c’era l’affetto di sua moglie che mi ha sempre chiamato «l’Omero di campagna». Quindi ha detto molto a me questa sua premura, anche se lontana, anche con poche parole che esplodevano nell’aria. E poi si allontanava o guidava l’automobile, perché molte volte mi son trovato in sua compagnia quando guidava, lui coi suoi scatti nervosi per il suo male a una gamba, e una volta gli ho detto: «Bisogna andare più piano perché può capitare qualche cosa». «Ah non è niente — ha risposto — muore lui». Quindi aveva anche dei gesti di simpatia. Da non dimenticare che le sue parole avevano sempre il calore di una vacanza a Sabaudia, cariche di sole.
Ringrazio i signori che parlano di Moravia, mi perdonino se ho detto delle cose giuste contro tutti. Stiamo qui in un mondo che è un po’ penoso. Ci sono stati dei grandi sceneggiatori e ci sono anche adesso grandi persone di cinema in Italia, Bellocchio, Olmi, Tornatore, Monicelli, sono tanti, mi perdonino se ne lascio indietro qualcuno, e io mi chiedo: «Ma perché non vanno alla televisione per dare una struttura al giornale radio così schifoso e sempre pieno di cattiverie, quando in Italia ci sono anche delle scintille di luce?». Bisogna dare una struttura che sia gradevole e non far diventare dei banditi chi guarda la televisione.
Grazie e perdonatemi.
Tonino Guerra