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 2010  settembre 23 Giovedì calendario

LA SINISTRA E IL COMPLESSO DEL BANCHIERE

In una stagione di rivalutazione dei dialetti ce la potremmo cavare con il famoso adagio lombardo «ofeleé fa’ el to mesteé». Ma l’ipotesi (fantapolitica) del banchiere Alessandro Profumo che scaricato da Unicredit diventa il «papa straniero», il leader senza macchia e senza paura che porta il Pd alla vittoria, si presta a molte e utili considerazioni. Va da sé che l’ipotesi, per il timing con cui è stata messa in circolazione, ha i caratteri di un doppio e cinico sberleffo.
Presenta Profumo, ricco dei suoi 38 milioni di liquidazione, come un uomo assetato di potere e già in caccia di una nuova poltrona, senza nemmeno osservare il canonico turno di riposo. Fornisce un’immagine dissennata di un Pd, che pur di aver un nome da spendere alla lotteria del marketing elettorale, mette da parte l’abc della politica.
Per chiunque lo abbia frequentato o solo avvicinato Profumo è il prototipo del manager impolitico, distante da una logica di sistema e dall’idea che per governare realtà complesse si debbano tessere relazioni e ricercare il consenso. Anche la frequentazione di politici italiani di primo piano, come Romano Prodi e Massimo D’Alema, non è parsa mai obbedire alla volontà di costruire sodalizi duraturi. Così come l’amicizia che lo ha legato a due politici sui generis, quali Sergio Cofferati ed Ermete Realacci, dimostra la prevalenza del fattore simpatia su calcoli e convenienze. E quando Profumo ha sostenuto l’idea che le banche italiane dovessero stare fuori dai media, ci fu anche chi gli diede del masochista.
Ma perché allora vengono accostati oggi Profumo e il Pd? Probabilmente perché la sinistra, che si vede totalmente fuori dai circuiti decisionali, può pensare di recuperare il terreno perduto cooptando un esponente delle élite cosmopolite. I nomi ci sono e di rilievo. Molto spesso di tratta di personalità dotate di un’agenda internazionale che i capi del Pd non riusciranno mai a mettere insieme nella loro vita. Ma è questo oggi il fattore dirimente della contesa politica italiana? È l’accentuazione del tasso di cosmopolitismo la chiave per riaccendere il motore della sinistra e favorire la trasmigrazione dei delusi dal berlusconismo? O al contrario affidare la leadership a un banchiere avrebbe l’unico risultato di accentuare lo scollamento tra i democratici e il Paese reale? L’impressione è che la politica italiana in questa fase della vicenda nazionale non possa prescindere da una certa materialità, sono i territori e gli interessi i veri driver. Quello che Giuseppe De Rita chiama «il circuito dell’opinionismo», appare totalmente autoreferenziale. La società italiana chiede rappresentanza e ciò che vale oggi per il mondo del Piccoli, imprese e partita Iva, varrà domani per i giovani e gli extracomunitari integrati.
Quando si chiede un papa straniero si evoca in realtà un’idea sbagliata dell’Italia. La si raffigura come una landa desolata, dove non esistono più né ambizioni né passioni. Ora è vero che in politica non siamo particolarmente bravi, andiamo male in entrambe le versioni, ma dietro i Palazzi c’è fortunatamente una riserva di energie alla quale si può attingere. Sono i corpi intermedi, l’Italia di mezzo che non tradisce e ci ha permesso di resistere allo tsunami della crisi. Conosco l’obiezione: «È un piccolo mondo antico». No, non è così. In questa fase della globalizzazione i Paesi che sembrano avere più fiato sono sistemici, hanno saputo realizzare un’alchimia perfetta tra elementi di modernità e forza della tradizione. Perché non possiamo farlo anche noi? Perché non possiamo far dimagrire la politica, lasciarle solo l’ultimo e importantissimo miglio, e dare invece più peso alla società organizzata? Un esempio su tutti: con un welfare statale che dovrà fare i conti in futuro con risorse calanti chi pensate, se non la società, possa intervenire per aiutare a garantire ai nostri figli uno standard accettabile di tutele? Sono di questo tipo i nodi che il Paese si trova davanti e la sinistra italiana, per la lungimiranza dei suoi padri, è parte integrante della vicenda nazionale, non un corpo estraneo. Lasci, dunque, che i banchieri e le élite cosmopolite facciano il loro lavoro. Non ceda alla tentazione di usarne il nome.
Dario Di Vico