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 2010  settembre 22 Mercoledì calendario

RIARMO DA RECORD PER FERMARE L’IRAN


È la più grossa singola vendita di armi mai realizzata dagli Stati uniti: Washington fornirà all’Arabia saudita e altri stati del Golfo cacciabombardieri, elicotteri, missili e armamenti per un valore di 123 miliardi di dollari.
La Boeing vende all’Arabia saudita 85 nuovi F-15 e ne potenzia altri 70: sono caccia da attacco multiruolo, in grado di trasportare anche armi nucleari, con una velocità due volte e mezza quella del suono, capaci di evadere le difese nemiche. La Boeing le fornisce inoltre 70 elicotteri da attacco Apache e 36 Little Bird, usati dalle forze per le operazioni speciali. A questi si aggiungono oltre 70 elicotteri da attacco Black Hawk della Sikorsky (United Technologies). Il «pacco» costerà all’Arabia saudita 67 miliardi di dollari, cui si aggiungeranno le spese per l’addestramento del personale, i pezzi di ricambio e gli ammodernamenti.
Agli Emirati arabi uniti gli Stati uniti vendono 35-40 miliardi di dollari di armamenti, tra cui uno «scudo» formato da missili Thaad della Lockheed Martin. Vengono inoltre potenziati i missili Patriot, forniti dalla Raytheon agli Emirati e al Kuwait. Quest’ultimo pagherà 7 miliardi di dollari. All’Oman vengono forniti 18 nuovi caccia F-16 della Lockheed Martin, mentre altri 12 vengono potenziati: la spesa sarà di 12 miliardi di dollari.
Nell’annunciare la vendita di 123 miliardi di dollari di armi statunitensi agli stati del golfo, il Financial Times (21 settembre) la definisce «una enorme spinta all’industria americana della difesa». Aggiunge quindi che «l’acquisto di nuove armi statunitensi avviene nel momento in cui molti paesi del Medio Oriente, dove si trovano i due terzi delle riserve petrolifere mondiali, sono allarmati dalle ambizioni nucleari dell’Iran». La campagna sulla «minaccia iraniana» dunque funziona, e bene. Non solo i paesi del Golfo hanno intensificato l’acquisto di sistemi d’arma Usa, ma si preparano a farlo anche quelli europei, ai quali il segretario generale della Nato, Anders Rasmussen, pochi giorni fa in visita in Italia ha raccomandato ai paesi alleati di realizzare insieme agli Stati uniti un unico «scudo» contro la «minaccia missilistica iraniana». La decisione politica dovrebbe giungere dal summit dei capi di Stato e di governo dell’Alleanza atlantica, a Lisbona, in novembre. Poi la fase operativa, con una nuovissima militarizzazione del territorio europeo e italiano.
Che cosa si prefigge con questa mega vendita ai paesi del Golfo l’amministrazione Obama? Il suo scopo, scrive il Financial Times, va al di là della semplice promozione dell’industria militare statunitense. Se gli alleati di Washington nel Golfo acquistano le loro armi dagli Stati uniti, «essi vengono addestrati su comuni piattaforme, potenziando la loro capacità di combattere un comune avversario» insieme alle forze statunitensi. Su questo, aggiunge The New York Times, è d’accordo anche Israele, che finora aveva guardato con sospetto le forniture di armi Usa a paesi arabi. In altre parole: promovendo questa colossale vendita di armi, l’amministrazione Obama non solo rinvigorisce l’industria bellica e quindi l’economia statunitense, in cui essa svolge un ruolo portante. Allo stesso tempo, accresce l’influenza statunitense nell’area strategica del Golfo, assicurando che gli eserciti dei paesi alleati siano a piena disposizione del Pentagono e ben armati così da potere, un giorno, attaccare l’Iran, che ha preso il posto dell’Iraq quale nemico numero uno.
Così il presidente Obama si sta guadagnando il Premio Nobel per la pace, conferitogli «per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli»? Che senso ha avviare il ritiro delle truppe combattenti in Iraq - ma lasciando un presidio di basi di 56mila soldati e raddoppiando il numero dei mercenari -, e l’annuncio del probabile avvio di una uscita dal pantano afghano con una maggiore afghanizzazione della guerra sul campo, se intanto si prepara concretamente un nuovo, più grave, scenario bellico?
Emblematico inoltre è il fatto che, mentre accusa il governo iraniano di violare i principi della democrazia e i diritti umani, egli sostiene e arma l’Arabia saudita, dove il sovrano detiene il potere legislativo, esecutivo e giudiziario; dove non esiste un parlamento ma solo un consiglio consultivo nominato anch’esso dal sovrano; dove partiti politici e organizzazioni sindacali sono considerati illegali, e le donne escluse dalla vita politica e lavorativa. Senza dimenticare i tanti «casi Sakineh» nelle prigioni dei paesi del Golfo. Questi «valori» vengono difesi e rafforzati dai caccia e gli elicotteri da attacco, forniti in misura senza precedenti dagli Stati uniti sotto una amministrazione democratica.