ROBERTO GIOVANNINI, La Stampa 23/9/2010, pagina 14, 23 settembre 2010
Gli strani traffici nel buco nero di Gioia Tauro - Saranno tremila anni, da quando si naviga per mare, che i porti sono posti adoperati per i traffici illeciti
Gli strani traffici nel buco nero di Gioia Tauro - Saranno tremila anni, da quando si naviga per mare, che i porti sono posti adoperati per i traffici illeciti. Per questo, a Gioia Tauro la scoperta dell’esplosivo non sconvolge più di tanto: succede ovunque. Nel gigantesco porto calabrese, che movimenta milioni di container l’anno - peraltro opera un sistema che fa il bodyscan dei container, per vederne il contenuto. Cosa che però non evita che un container la cui bolla parla di balle di cotone contenga una Ferrari rubata. Una volta da un container uscirono 12 poveri immigrati. Cose che capitano, in uno dei più grandi scali di transhipment del Mediterraneo, dove cioè si scaricano e si ricaricano container che devono giungere a destinazione. Quasi tutti ripartono per mare, visto che solo il 2-3% dei contenitori escono dalla dogana portuale via treno o gomma. Il «Medcenter Container Terminal», che a buon diritto può essere definito il Miracolo Gioia Tauro, produce il 50% del Pil dell’intera Calabria. Con solo 1.100 dipendenti diretti, 871 indiretti e altri 1.100 nell’indotto. Tra tante storie di fallimento, quella di Gioia Tauro ha davvero del miracoloso. All’inizio degli Anni 70 si decise di trapiantare nella splendente piana di Gioia Tauro il V Centro Siderurgico, prima pietra nel ‘72. Si fecero chilometri e chilometri di banchine, niente. Si pensò a una centrale a carbone, si fecero i moli per le carboniere, niente. Sulle banchine si pescavano con grande profitto le ostriche. Un giorno Angelo Ravano, il grande armatore genovese che aveva inventato il porto di La Spezia, passò sopra in aeroplano. E decise che a Gioia si poteva fare qualcosa. Aiutò la geografia, visto che Gioia è idealmente collocata sulla rotta dal Canale di Suez a Gibilterra, ma anche la radicale trasformazione dell’industria marittima, il gigantismo navale. Transhipment significa che una nave non deve più fermarsi al Pireo, a Taranto, a Marsiglia e a Barcellona scaricando ogni volta una parte del carico. Si deposita tutto il carico dei container - tantissimi - in un porto solo; da qui ripartiranno le più piccole navi feeder. E viceversa. Poi, le grandissime navi (come le Super Post Panamax, tipo la MSC Daniela, che porta 16.000 TEU, che vuol dire 32.000 contenitori ed è lunga 236 metri) a Gioia trovano fondali profondi, cinque chilometri complessivi di banchine, immensi piazzali. Trovano due società terminaliste come la Contship e la Ico-Blg, che gestisce il traffico di migliaia di auto giapponesi che sbarcano qui. E trovano lavoratori - una volta camerieri, pasticcieri, agricoltori - ora bravissimi: i gruisti, che da una cabina sospesa a 36 metri con una gru da 500 tonnellate per prendere anche 2 container alla volta. Gli straddle carrieristi, che con gru mobili a cavaliere spostano i contenitori nel piazzale, mettendoli nel posto giusto deciso da un sistema codificato di posizionamento. I rizzatori, quelli che faticano di più, per imbracare e sbracare i contenitori. E i coordinatori: i checker, i planner, i dispatcher, che permettono di organizzare carico e scarico. Una nave gigantesca anche in sole 24 ore. E quasi sempre si è riusciti a tenere fuori dal recinto la ’ndrangheta, che devasta la Piana. Ma anche nella Gioia Tauro dei miracoli è arrivata la crisi globale. Meno container, meno lavoro. E come spiega Giovanni Grimaldi, presidente dell’Autorità Portuale, «anche nel Nordafrica si è capita la ricetta del miracolo, e vogliono fare come noi: Port-Said, Tangeri, Tunisi hanno un costo del lavoro più basso, e niente tasse portuali di ancoraggio e pilotaggio». E come spiega Salvatore La Rocca, dirigente della Cgil, un ex-portuale, «noi non abbiamo diversificato, c’è solo il porto. Con miliardi di soldi pubblici sono stati costruiti una marea di capannoni per nuove industrie, ma sono quasi tutti vuoti e abbandonati». La crisi ha prodotto un calo vertiginoso dei traffici e la prima richiesta di Cassa integrazione, uno shock. L’emergenza è rientrata: un po’ per la ripresa dei traffici (-23% a gennaio 2010, ad agosto +3% sull’agosto 2009), soprattutto per il taglio delle tasse di ancoraggio consentito dal governo all’Autorità Portuale. Ma la preoccupazione resta, afferma Domenico Laganà, della Filt-Cgil: «E’ fondamentale concedere all’Autorità, come stabilito nella Finanziaria 2010, di trattenere il 5% del gettito Iva prodotto dal porto, e bisogna ridurre le elevatissime accise. Altrimenti si uccide il Miracolo».