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 2010  settembre 23 Giovedì calendario

Riecco i franchi tiratori - Una volta Andreotti - uno del ramo - disse che i franchi tiratori «sono la mala pianta di cui ci si rallegra quando si manifesta in ausilio alle proprie tesi, e si demonizza quando ti fotte»

Riecco i franchi tiratori - Una volta Andreotti - uno del ramo - disse che i franchi tiratori «sono la mala pianta di cui ci si rallegra quando si manifesta in ausilio alle proprie tesi, e si demonizza quando ti fotte». Roba da prima repubblica, elezioni del presidente, inciuci, eterne nottate democristiane; cose di un altro mondo. Ma non è così. Il franco tiratore - o l’astensionista, o tutti quelli che «nel segreto dell’urna» - furoreggia anche e soprattutto nella seconda. Solo che s’è specializzato in un altro genere di votazione: quelle sulle richieste di autorizzazione a procedere contro qualche collega. Dategli uno scrutinio segreto e, a dispetto di opinioni pubbliche sfinite, da Previti a Dell’Utri, o si parva licet da Di Girolamo a Cosentino stesso (due volte), il cecchino rispunta, i conteggi si fanno dubbiosi, i sospetti si addensano, l’onorevole inquisito si salva, il trasversalismo dilaga, le alleanze si liquefano, e rimane infine l’impressione che non solo nella maggioranza si sia voluto salvare il collega. E quale maggioranza, oltretutto? Ieri i voti contro la richiesta di autorizzazione all’uso di intercettazioni su Cosentino sono stati 308 (il Pdl senza i finiani più la Lega darebbero 297, ma nel Pdl c’erano 12 assenti, e nella Lega 5...). Vuol dire che una vasta zona grigia oltre la maggioranza ha aiutato Cosentino. Ma già a dicembre del 2009, quando la Camera disse una prima volta di no alla richiesta di arresto sempre per il sottosegretario, i no furono 360, 51 voti in più rispetto al numero di deputati della maggioranza a Montecitorio (allora il Pdl non ancora spaccato, più la Lega). Cosentino, involontariamente ironico, commentò: «È un voto che ha oltrepassato tutti gli schieramenti, al di là della stretta maggioranza». Aveva timore per il voto segreto? Ma manco per sogno, era quello semmai a salvarlo. Come al solito. «Visto l’appoggio che ho avuto dai colleghi, non poteva finire che con il diniego». Solo di recente è successo che - col voto segreto, e strane maggioranze - si negassero gli arresti domiciliari per Nicola Di Girolamo e la sua elezione all’estero (il 12 giugno 2008), per Cosentino, ancora lui, per Antonio Angelucci (4 febbraio 2009), per il ministro Matteoli... Fatti diversi, ma sempre, va sans dire, col voto segreto. E insomma, gli onorevoli si danno una mano l’un l’altro, nascostamente. Si tutelano, segretamente. Si salvano sempre e comunque, a prescindere. I cecchini e un voto segreto trasversale aiutarono (inizialmente) Cesare Previti: il 21 gennaio del ’98 il Polo si mosse unito, ma non aveva la maggioranza; corsero al salvamento la Lega Nord e un bel pezzone di Ulivo (lo Sdi, Marco Boato e fette di Ppi). «Le prove - sostennero sublimi, e previo anonimato, alcuni cecchini - sono così evidenti che Previti non può più inquinarle». E quando, il 13 aprile del ’99, sempre Montecitorio votò sulla richiesta di arresto di Dell’Utri, il presidente della Camera Violante lesse questo amaro referto: «Contrari 301. Favorevoli 279. Nove gli astenuti». Lo scarto era stato minimo, solo 22 voti. Il fatto è che i contrari erano più numerosi della maggioranza. Il Corriere scrisse: «È stato salvato dai popolari». Il pidiessino Mussi, fatalista: «Si fa quel che si deve, accada quel che può». Fa presto ora Bocchino a dire «è colpa dei franchi tiratori», perché per moltissimi è merito, per altrettanti routine. E non sono neanche più i franchi tiratori gaglioffi, ma almeno politici, che perseguitavano Fanfani («pure al ristorante me li ritrovo»), fecero fuori due governi Moro (il I e II), o quelli che nel 1876 fecero cadere il governo Minghetti, o traballare perennemente Crispi. No: questi sono post-franchitiratori; esteti del paracadute. Neanche somigliano più a quelli che il 29 aprile del ’93 votarono negando quattro autorizzazioni contro Craxi. Allora difendevano non solo se stessi ma un mondo: in aula gli gridarono «ladri di regime», fecero segni di manette, nondimeno il dc D’Onofrio disse papale papale che i voti pro Bettino per forza erano venuti anche dall’opposizione, «nel segreto dell’urna». Gianfranco Fini, capo missino, lo interruppe, «se dici queste cose sei un mascalzone, siete dei ladri che avete difeso altri ladri». Ieri nessuno ha detto niente.