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 2010  settembre 21 Martedì calendario

LEZIONE SEVERA

Caro Gervaso ho letto giorni fa il suo articolo “Esiste la felicità?”. Se non mi sono suicidato poco ci è mancato. Possibile che lei veda tutto nero, che pensi sempre al peggio, che nessun raggio di luce entri nella sua vita? Lei cita spesso Seneca. A cosa le serve richiamarsi al pensiero del grande filosofo spagnolo naturalizzato romano, se non tiene conto, nella sua vita pratica, dei suoi aurei precetti?
Lei, Seneca, stando a quello che scrive, lo conosce bene, ma la sua alta lezione mi pare che non l’abbia ancora appresa.
Legga e mediti su queste parole e ciò che più conta, ne faccia tesoro: “Il saggio è pieno di gioia, tranquillo, sereno, imperturbabile, vive alla pari con gli dei. E adesso guarda te: se non sei mai triste, se non hai alcuna speranza che ti faccia trepidare in attesa del futuro, se notte e giorno il tuo animo fiero è soddisfatto di sé, ma tiene sempre lo stesso atteggiamento, allora sei prevenuto al culmine dell’umano bene. Ma se vai in cerca dei piaceri, di qualunque specie e dovunque tu possa trovarli, non potrai essere né saggio né felice.
“Sbagli se, pur avendone la volontà, speri di raggiungere la ricchezza fra le ricchezze e gli onori, che è come ricercare la felicità in mezzo agli affanni e alle preoccupazioni.”.
Pio Benussi - Pisa

Io, caro Amico, di Seneca credo di aver letto tutto. Tutto meno le tragedie, il peggio uscito dalla penna di questo maestro di vita e di saggezza. Le opere “Lettere a Lucilio” e i “Dialoghi”, come ho avuto tante volte occasione di scrivere, li porto sempre con me e la sera, prima di spegnere la luce, ne leggo qualche pagina.
La lezione stoica cui Seneca s’ispira, è una lezione intensa, impervia, scomoda. Le virtù, specialmente certe virtù, è facile predicarle e difficile applicarle. Anche Seneca, come altri stoici, predicarono bene e razzolarono male. E questo perché l’uomo non è perfetto. L’uomo è perfettibile ché, se così non fosse, non progredirebbe, visto che le avversità, non le fauste evenienze, ci forgiano il carattere, che è una volontà severamente educata.
Io cedo spesso agli scoramenti, e l’ansietà mi tiene più compagnia sella serenità. Non è una mia scelta. Io cerco di affrontare la vita, nel suo bene e nel suo male, più certamente nel suo male che nel suo bene, ma non sempre ci riesco. Anzi, sono più le volte che sventolo bandiera bianca di quelle in cui sventolo l’orifiamma della vittoria.
Ci sono stati periodi della mia vita in cui la lotta alimentava il mio slancio vitale, in cui non avevo paura di nessuno, sfidavo tutti, in tutte le occasioni e in tutti i luoghi, non mi tiravo mai indietro, ero sempre in prima linea. Ma ci sono stati periodi, infinitamente tribolati in cui sembrava che un demone indescrivibile e imperscrutabile mi tarpasse le ali, mi tagliasse la strada, mi precludesse i traguardi che punteggiavano il mio percorso.
L’impassibilità stoica, come quella cinica, richiedono virtù sovrumane. Virtù che io non posseggo e credo che pochi possano vantare. Se basta un niente (una telefonata, un mancato appuntamento, un semplice contrattempo) a propiziarmi l’angoscia, come potrò respingere urti più vigorosi?
L’impassibilità, tanto raccomandata da tanti filosofi antichi, è una chimera, è un lusso che solo gli dei e semidei possono concedersi. Noi, no. Noi dobbiamo batterci, batterci sempre, senza momenti di tregua, senza che le armi tacciano, sempre sul chi vive. E chi è sempre sul chi vive, pur se logorato dalle asprezze e dalle malignità dell’esistenza, tiene testa a queste a queste e a quelle.
La giusta via è l’equilibrio.
La virtù, per essere tale, non può essere estrema, almeno per l’uomo comune. La bilancia della vita deve stare in equilibrio e i piatti non devono pendere né da una parte né dall’altra. Sono sospesi, ma quasi mai immobili perché sottomessi ai palpiti umani che vibrano in noi e ci rendono più mutevoli di quanto vorremmo e dovremmo essere.
L’equilibrio ha un prezzo e io temo di non averlo pagato fino in fondo. Se non avessi commesso tanti errori, se non fossi stato tanto ingiusto con le persone giuste, tanto ingeneroso con le persone magnanime, forse questo status parziale l’avrei raggiunto. Solo chi ha più sofferto può fissare il sole e vagabondare senza costrutto nel cielo stellato. Solo chi ha amato, e amato davvero, troverà nel suo amore gli incoraggiamenti dei suoi crucci e dei suoi trasalimenti.
Non solo nella vita di tutti i giorni, nella vita esteriore il merito come assolvimento dei nostri doveri trova la sua ricompensa. Anche nella vita interiore, in quella dello spirito, dove il verdetto si sottrae alla precarietà e alla fallacia perché chi ci giudica è la nostra coscienza, ineludibile e aliena da ogni concessione discriminatrice e di favore. Il fatto è che la vita è un gioco che ci diverte finché non ci annienta.