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 2010  settembre 23 Giovedì calendario

A CACCIA DI PRIME EDIZIONI PER COGLIERE LA VERITÀ

Succede dunque che, in fatto di libri belli e rari, di vecchie carte che profumano di verità, di legature antiche manufatte a custodire libri che facevano da stemma di principi e generali, di collezioni complete di introvabili riviste che hanno scandito e innovato la storia culturale del Novecento, Bologna ha superato Milano. A giudicare dal fatto che i librai antiquari presenti alla “Mostra Internazionale del Libro Antico”, che debutta oggi a Bologna (fino a domenica), saranno il doppio di quelli che la primavera scorsa erano a presenti a Milano, lì dove Marcello Dell’Utri promuove una “Mostra del Libro antico” che da oltre 20 anni è una festa per librai antiquari e collezionisti.
Ben 110 i librai presenti a Bologna, e tra loro il fior fiore dei librai antiquari stranieri, contro i circa 50 che a marzo scorso avevano il loro stand al Palazzo della Permanente di via Turati. “Settembre 2010, Bologna capitale mondiale del libro”. Così recita l’intestazione d’avvio della Fiera, ulteriormente ravvivata fatto che nel capoluogo emiliano si celebra il Congresso Mondiale dei Librai Antiquari, ed è la prima volta dopo vent’anni che l’Italia ospita l’evento.
Per tutti i gusti
Per noi tossicodipendenti del libro bello e raro, sarà una via crucis. I nostri pusher abituali ci sono tutti, ciascuno con i suoi cavalli di battaglia. Quel masnadiero romano di nome Antonio Pettini (lo conosco da quasi trent’anni) esibirà un’edizione originale delle Vite di Giorgio Vasari, il libro che fa da pietra miliare nella conoscenza della storia dell’arte. Il francese Lecointre offrirà di certo il meglio delle avanguardie francesi del Novecento, un segmento culturale di cui è uno specialista eccezionale. I diabolici fratelli bresciani Bruno e Paolo Tonini hanno costruito un succulento catalogo con oltre 200 leccornie bibliografiche attinenti alla storia del cinema italiano. Il torinese Umberto Pregliasco la farà come sempre da maestro in fatto di libri antichi. La libreria Pontremoli di Milano, una libreria che alla mia vita ha arrecato molti più danni di quanti non ne abbia fatti Adolf Hitler, esibisce una scelta di libri illustrati del ’900 in cui ce n’è per tutti i gusti e per tutti i vizi bibliofolli.
E anche se il libraio presente a Bologna che più mi sta rovinando la vita è il torinese Giorgio Maffei, particolarmente esperto nel libro d’arte tra i Cinquanta e gli Ottanta, il quale offre in catalogo un libro che cercavo da decenni e per il quale darei volentieri mia sorella ai beduini. Non avendo una sorella, non so proprio come riuscirò a pagargli la seconda e rarissima edizione del 1936 delle Contemplazioni, il libro di poesie e di invenzioni grafiche che Arturo Martini, il più grande scultore italiano del secolo scorso aveva pubblicato a proprie spese in prima edizione nel 1918 a Faenza. Solo che quella prima edizione è come se non fosse mai esistita. In tutto e per tutto se ne conosce una sola copia, di proprietà del museo faentino che onora Martini...
Parlo di collezionismo di libri, e dunque della più bella malattia al mondo. Una malattia che ti fa soffrire ma che non ti uccide, e confesso di disprezzare chi ne è immune. Non fraintendetemi, non voglio affatto dire che disprezzo chi non darebbe via la sorella per avere le Contemplazioni di Martini, o diecimila altri libri altrettanto pregevoli e stuzzicanti. Disprezzo chi non capisce la bibliofollia, la sua centralità culturale: il fatto che non c’è modo migliore e più palpitante di conoscere e capire un libro che non sia il poterne vedere la prima edizione, tastare la carta di cui era fatto quando si avviò per il mondo, guardare la copertina di cui fu arredato da un artista o da un grafico coevo e complice dell’autore.
Non occorre che voi quei libri li compriate o vi dissanguiate per averli; basta che sappiate che esistono e quanto sono prelibati. Quel che sapete di un quadro di Caravaggio o di Van Gogh, o magari soltanto di un vino d’annata o di un vestito vintage di Coco Chanel. A nessuno di voi verrebbe in mente di mettere sullo stesso piano il vestito di Chanel e un vestito che trovate per pochi euro in un negozio qualsiasi. E allora perché mai pensate che sia la stessa cosa avere in mano un’odierna edizione tascabile di Gustave Flaubert o Dino Campana o invece le edizioni originali di quei libri?
Ma è ancor più che questo. Il fatto è che collezionare ti porta a scoprire territori nuovi, autori che erano stati ingiustamente dimenticati, momenti della storia culturale su cui i riflettori sono stati spenti da tempo. Vi abitua a capire che le gerarchie culturali non sono riflesse dalla top-ten dei libri più venduti, né ora né mai. Fosse così, il più grande scrittore italiano sarebbe Fabio Volo. Fosse così, uno come Tommaso Landolfi, che non credo arrivasse a vendere mille copie di un suo romanzo o di una sua raccolta di racconti, sarebbe uno scrittore infinitamente minore del nostro ’900. E invece è uno dei cinque o sei più grandi.
Parla uno che al fatto di collezionare libri belli e rari deve molto, se non quasi tutto della sua conoscenza e della sua intelligenza del come sono andate le cose nella nostra storia culturale. Solo perché quei libri li ho cercati disperatamente, ho potuto scrivere ad esempio A via della Mercede c’era un razzista, il libro che raccontava il destino drammatico e contraddittorio di Telesio Interlandi, quello che Leo Longanesi aveva definito «il miglior giornalista fascista», e che ha poi imbrattato se stesso con l’accettare di dirigere “La difesa della razza”, l’ignobile quindicinale che Benito Mussolini gli affidò nell’agosto 1938. E con tutto questo, un imbrattamento che Interlandi pagò col diventare innominabile anche da parte di quei tanti scrittori italiani che negli anni Venti e Trenta avevano debuttato nei giornali da lui diretti, raccontare il suo destino e il suo lavoro era un’impresa per cui valeva la pena darsi da fare.
Con i brividi
Avrebbe voluto farlo Leonardo Sciascia, un altro che conosceva a puntino il sapore di verità che emana dai libri trovati in antiquariato. Anche lui aveva trovato per la prima volta il nome di Interlandi su un libro raro e introvabile. La morte lo bloccò quando ancora non aveva scritto una riga. Il figlio di Interlandi mi chiese perché non ci provassi io a scrivere un libro su suo padre. Frugai in un paio di biblioteche pubbliche. Non c’era nulla di nulla che portasse il nome di Interlandi o che lo riguardasse. Mi misi a cercare sui cataloghi dei librai antiquari, la cui lettura uno studioso e un bibliofilo come Luigi Firpo diceva che era più eccitante di tutte. E in fatto di eccitazione mi vengono i brividi a pensare a ciò che proverò girovagando per gli stand della Bologna capitale mondiale del libro...
Giampiero Mughini