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 2010  settembre 23 Giovedì calendario

LA CATALESSI DELLA DEMOCRAZIA


Dopo la bomba fatta esplodere sotto l’abitazione del Procuratore Generale di Reggio Calabria si è tornato a discutere dell’eventuale impiego dell’esercito per un più efficace contrasto dello Stato al crimine organizzato.

In Italia, il governo Berlusconi, nell’ambito della costruzione del nuovo modello autoritario, sta utilizzando l’esercito per operazioni propagandistiche da censurare.

Si impiegano i militari a via Montenapoleone a Milano, a Via Veneto a Roma, a via Caracciolo a Napoli per “mostrare” la presenza dello Stato. Queste modalità non servono a nulla nel contrasto al crimine, sono utili solo per il “simbolismo” autoritario, per rendere “normale” agli occhi della gente la presenza dei militari nelle strade.

In un Paese in cui monta la criminalizzazione del dissenso e dei ceti emarginati della società opulenta è utile poter disporre di un controllo militare del territorio pronto per l’uso. La “macelleria istituzionale” della repressione violenta dei no-global di Napoli e Genova del 2001 non fa dormire sogni tranquilli. Il Governo e la Protezione Civile spa di Bertolaso stanno utilizzando l’esercito a L’Aquila per sperimentare lo stato d’eccezione in una città fantasma dove la ricostruzione del centro storico non è mai iniziata, dove le promesse per la nuova università sono cadute nel nulla, dove gli scandali nella gestione dei fondi per il terremoto cominciano a venir fuori. L’esercito ha avuto l’ordine di militarizzare la città: varchi invalicabili, check point stile Beirut, controlli dei volantini e della manifestazione del pensiero, divieto di riunioni e manifestazioni non autorizzate, repressione dei dissidenti del “popolo delle carriole” attraverso il sequestro delle loro “armi”: le carriole, con le quali utilizzano quel pericoloso strumento sovversivo del pensiero libero senza omologarsi a quello unico e dominante dello stato d’eccezione che si fa regola ordinaria.

L’esercito rimane in Afghanistan – con una spesa di miliardi di euro – in una missione di guerra incostituzionale e inutile, in uno scenario in cui i talebani non sono stati sconfitti e la ricostruzione del territorio è sostanzialmente ferma.

Aumentano, però, in Italia le esportazioni di armi. Fa profitto, nei momenti di crisi, l’economia di guerra.

In Italia mancano magistrati (ad Enna la Procura della Repubblica sta per chiudere per mancanza di pubblici ministeri), non c’è benzina per le autovetture blindate dei servitori dello stato impegnati nel contrasto alle mafie, è ridotto all’osso il personale giudiziario, manca anche la cancelleria basilare, la carta da scrivere per intenderci; le forze dell’ordine non hanno autovetture e benzina a sufficienza per controllare il territorio ed effettuare attività di osservazione e pedinamento; vi sono carenze di organico impressionanti in alcune aree ad altissima densità mafiosa; per non parlare dei mezzi fatiscenti a loro disposizione: computer vetusti, strumentazione tecniche obsolete, equipaggiamenti inidonei.

Se i milioni di euro utilizzati per le operazioni militari di facciata nelle belle vie delle città fossero destinati alla magistratura e alle forze dell’ordine, se i miliardi di euro erogati per la guerra in Afghanistan fossero impiegati per la giustizia e la sicurezza la lotta al crimine si rafforzerebbe.

Tutte le articolazioni dello Stato possono esser utili per la giustizia e la sicurezza. L’esercito potrebbe essere destinato a presidiare obiettivi sensibili – tribunali, questure, caserme, edifici pubblici, obiettivi da proteggere, cantieri per la realizzazione di importanti infrastrutture – in maniera tale da recuperare risorse tra le forze dell’ordine per l’attività di prevenzione e repressione dei reati.

Maggiori risorse, corretto utilizzo delle forze armate, rafforzamento di organici, più mezzi, sono misure necessarie, ma non bastano.
Per sconfiggere davvero la ‘ndrangheta si deve toglierle l’ossigeno. Colpire la sua capacità imprenditoriale nel mondo, individuare i colletti bianchi delle ‘ndrine, identificare i canali di riciclaggio del denaro, effettuare sequestri e confische ed affidare i beni ad associazioni, movimenti e cooperative sociali per creare sviluppo ed occupazione.

Si deve colpire la borghesia mafiosa e i legami organici con la politica e le istituzioni. Siamo, però, a Davide contro Golia. Lo Stato che opera per contrastare il “sistema mafioso” è minoranza rispetto a quella parte di Stato che ha deciso di conformarsi, di non guardare, di non fare, di