Persivale Matteo, Corriere della Sera, 21 settembre 2010, 21 settembre 2010
LETHEM SULLA CATTEDRA DI DAVID FOSTER WALLACE
A New York è nato, a New York - in un atelier di pittore - ha imparato a pensare «guardando mio padre dipingere», a New York ha perso - tredicenne - l’ adorata mamma Judith, «il vuoto gigantesco al centro dei miei libri: il linguaggio scompare, qualcuno è sparito, la memoria svanisce».
A New York è cresciuto, ha imparato a amare i libri lavorando part-time come commesso nel caos bibliofilo di Brazen Head Books sull’ Upper East Side, a New York è diventato uomo.
Fino a quando è partito per il college, in Vermont, compagno di scuola (ma non si è mai laureato) di Jonathan Franzen e Bret Easton Ellis e Donna Tartt nell’ Arcadia (un po’ sinistra, vedi Dio di illusioni della Tartt, Rizzoli) di Bennington.
Brooklynese cronico, a quel quartiere di New York ha dedicato fin dal titolo il suo libro più famoso, Brooklyn senza madre, edito in Italia da Il Saggiatore.
È rimasto poi a Berkeley per dodici anni, californiano improbabile, fino al ritorno a casa - «New York era la sua città, e lo sarebbe sempre stata», come da incipit fulminante (il film «Manhattan») di un altro ebreo brooklynese di genio, Woody Allen. Domani sera però nel tempio newyorchese di chi ama leggere - la New York Public Library, tra la Fifth Avenue e la 42esima strada - Lethem saluterà la sua città.
Il romanziere parte per un altro viaggio, ancora una volta in California: prenderà possesso, da gennaio, della cattedra di scrittura creativa che al Pomona College, a est di Los Angeles, nel lynchiano «Inland Empire» tra l’ oceano e il deserto, era occupata da David Foster Wallace fino al suo suicidio il 12 settembre del 2008.
È là che «Dave», il genio con la bandana, insegnava.
Ora è il turno di Lethem. Che continuerà il lavoro del collega, «ha lasciato una pista caldissima, che va seguita assolutamente» e al quale lo legavano amici comuni, le tante recensioni lusinghiere che si sono scambiati - leggevano avidamente i libri l’ uno dell’ altro - ma incredibilmente Lethem e Wallace non si sono mai incontrati di persona.
Sfumò un incontro, per caso, come succede a volte, quando Wallace stava per esordire con il suo primo libro. Poi si ammirarono a distanza. E, ha sorriso Lethem in un’ intervista con il «New Yorker» «io l’ ho copiato alla grande». Per l’ ammirazione reciproca tra quei due scrittori così diversi ma così sintonizzati sul nostro senso di spaesamento e di solitudine davanti al mondo.
Lethem, da lontano, continuerà a scrivere di New York - «in un certo senso ho bisogno di tornare a New York nei miei sogni, tra nostalgia e esilio» - e a rileggere i libri di Wallace. E a assegnarli, ovviamente, come compito ai suoi studenti. Tra le palme della California, poco lontano dalle amate - attraverso un altro scrittore, Raymond Chandler - strade di Los Angeles, «che sono state costruite per dare un ordine alle nostre solitudini».