Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 22/09/2010, 22 settembre 2010
ROMA CITTA’ E IDEA
Dalle epigrafi del I secolo avanti Cristo, conservate nei depositi dei Musei Capitolini, alle fotografie che riproducono scene di vita nelle borgate nei primi anni Sessanta del secolo scorso; dalle tavole di Tolomeo Egnazio e Marco Fabio Calvo con i più importanti monumenti della città nel 1500, alle stampe all’albumina con papa Pio IX in visita gli scavi di Ostia nel 1866, appena quattro anni prima della Breccia di Porta Pia; dai libri alle incisioni, dagli antichi documenti d’archivio alle sculture, dai dipinti agli antichi codici: 250 opere che raccontano la storia di Roma, del suo assetto urbano, dei suoi monumenti, delle testimonianze artistiche, del tracciato stradale, di alcune tradizioni millenarie. Un percorso vertiginoso che abbraccia oltre duemila anni e che vuole fare il punto su come si forma «l’idea di Roma», ovvero il mito che ha fatto diventare l’antica capitale dell’impero romano «Città eterna».
La mostra fa parte delle iniziative promosse per celebrare i 140 anni di Roma Capitale. E non a caso fu Giuseppe Mazzini ad affermare che «Roma non è una città: è un’idea». Ma non fu certo il primo. L’idea di Roma, intesa come valore universale in grado di dare dignità ad una comunità nazionale, si affermò senza dubbio nell’Ottocento, quando la città divenne la meta di intellettuali e poeti sua italiani che stranieri, desiderosi di trasformare il glorioso passato in esempio culturale per i contemporanei. Vincenzo Gioberti definì la città «la sede privilegiata del sublime» e gli artefici dell’unità d’Italia (non solo Mazzini, ma anche Cavour, Garibaldi e Vittorio Emanuele II) spesso in contrasto tra loro sulle strade da seguire per l’unificazione del paese, furono però sempre d’accordo sul fatto che la capitale di questo paese non poteva che essere Roma.
«Se si volesse rintracciare un punto di partenza per la costruzione dell’idea di Roma - scrive Marco Pizzo nel catalogo edito da Cangemi - bisognerebbe partire dall’Umanesimo, quando si iniziò la costruzione del suo "mito" intendendo la città, nella sua più larga e vasta accezione, come un simbolo stesso della "civiltà" classica, un modello ideale al quale rifarsi. La Città Eterna, grazie alla sua stratificazione storica, era infatti riuscita a coniugare le vestigia imperiali pagane con la Roma cristiana divenendo il modello di una lezione storica in grado di offrire alla comunità intellettuale un punto di riferimento, una "città delle memorie"». Ma Francesco Petrarca, un secolo prima, aveva già scritto: «Roma, dico città unica al mondo, cui né fu né sarà mai simile alcuna».
In mostra, tutti questi elementi di riflessione sono illustrati da un percorso articolato in varie sezioni: dalla Roma classica si passa per l’idea di Roma nel medioevo e si prosegue attraverso le rovine della Repubblica Romana del 1849 e i funerali di Pio IX fino alla Roma moderna, all’utopia urbana espressa dalla costruzione dell’E42 (l’attuale Eur) come sede dell’esposizione universale che si sarebbe dovuta svolgere nel 1942 e che Gio Ponti vedeva «come favolosa, teatro di architetture favolose, nate da una evocazione: la loro raggiunta realtà è un’effettiva espressione di dimensioni mai viste, di un realismo magico: questo è il loro assunto, il loro azzardo, il loro ardimento politico». In questa sezione, tra l’altro, sono esposte varie immagini con il modello dell’Arco monumentale progettato negli anni Trenta da Alberto Libera e oggi tornato d’attualità: si è parlato di realizzarlo per Roma 2020.
Ci sono anche raffronti interessanti, come quello tra l’idea della Repubblica Romana di Mazzini e la Repubblica Romana (assai diversa) vagheggiata a metà del Trecento ad opera di Nicola Gabrini detto Cola di Rienzo (cioè Nicola figlio di Lorenzo) il quale, sostenuto dal popolo, riuscì a governare per brevi periodi la città negli anni in cui i papi erano fuggiti ad Avignone, ma si dimostrò talmente dispotico e stravagante che alla fine venne massacrato ai piedi del Campidoglio e il suo cadavere mutilato fu appeso in una pubblica piazza. E ci sono le foto che riportano alla memoria episodi dimenticati, come la piena del Tevere del 1928, con la povera gente che scappa dai campi allagati delle periferie, ammassata in barchette di legno in balia delle onde come gusci di noce.
Lauretta Colonnelli