Francesco Sisci, La Stampa 22/9/2010, pagina 1, 22 settembre 2010
La Corea da un Kim all’altro - Se la questione Corea, ovvero la minaccia nucleare, ha un inizio è la successione all’unico dittatore comunista ereditario, sua maestà Kim Jong-il, Kim 2°
La Corea da un Kim all’altro - Se la questione Corea, ovvero la minaccia nucleare, ha un inizio è la successione all’unico dittatore comunista ereditario, sua maestà Kim Jong-il, Kim 2°. Kim Jong-il vuole assicurare il futuro al suo erede, il figlio (ventenne e già, come Alessandro o Napoleone, generalissimo) Kim Jong-un. Kim 3° dovrebbe ricevere una specie di benedizione internazionale dalla Cina o dall’America che ne assicuri il potere. Almeno questa era l’opinione comune e diffusa tra gli osservatori delle confondenti vicende di Pyongyang. Così l’assemblea del partito dei lavoratori, al potere, che si apre il 28 prossimo dovrebbe sciogliere questo enigma. Qui, secondo la stampa nordcoreana, si dovrà nominare il prossimo leader del Paese, il quale succederà a Kim Jong-il alla sua morte, certo non prima. Le scommesse ufficiali fino a qualche giorno fa erano 100 a zero a favore del piccolo Jong-un. Da qualche giorno la successione senza sorprese invece si è tinta di giallo. L’ex presidente Usa Jimmy Carter è arrivato a Pyongyang a settembre e poi è tornato via Pechino. In Cina ha visto il presidente Hu Jintao che gli ha spiegato, ha riferito Carter stesso alla stampa straniera, che le cose stanno diversamente. Kim Jong-il ha detto a Hu Jintao che Kim Jong-un non sarà il successore. La rivelazione, potrebbe tranquillizzare molti, visto che sembrerebbe interrompere la linea dinastica della dittatura nordcoreana e avrebbe l’illusione di una riforma politica. Ma in realtà getta tutto il paradigma di comprensione della Corea del Nord nella confusione. Se non è per Kim 3° perché Kim 2° si è agitato tanto? Cosa vuole dall’America? Non si capisce più niente. Certo l’assenza di Kim 3° riapre le prospettive della riunificazione della penisola e libera la Cina dallo scomodo ruolo di protettore dei «fetenti», come sono in generale considerati i leader nordcoreani. In questo caso Pechino diventerebbe il vero eroe della situazione. Ma tutto sembra troppo bello per essere vero. La prospettiva più realistica è che sia una specie di trucco. Kim 3° potrebbe essere nominato come parte di un gruppo di leader futuri, cioè sarebbe messo sotto la tutela di alcuni generali-parenti che ne garantiscano l’apprendistato, salvo da colpi di Stato o assassinii. La nomina ufficiale a capo dello Stato potrebbe avvenire in futuro. In questo modo tutti salvano la faccia, almeno secondo Pyongyang, che sembra cedere qualcosa. Comunque, quale che sia la soluzione che uscirà dall’assemblea, il problema vero è se essa sarà convincente al punto da riportare gli americani ai colloqui a sei per il disarmo nucleare del Nord. Oggi l’amministrazione americana, alla vigilia delle difficili elezioni di novembre, ha un’agenda fittissima. C’è la guerra in Afghanistan, c’è la minaccia nucleare iraniana, c’è l’economia che non si riprende (e ora è lampante: non si riprenderà per anni), c’è il disavanzo commerciale, il contrasto con la Cina per lo yuan sottovalutato, eccetera. Non ha bisogno o voglia di pensare anche alla Corea del Nord e di rimettersi in una corsa politica a ostacoli che pare senza prospettive e pare portare nulla se non guai. D’altro canto la forza di ricatto della Corea del Nord è enorme. Diversamente da tutte le altre minacce passate, eventuali e future, a Pyongyang ci sono la bomba, i missili balistici, la comprovata capacità di agire in maniera folle e difficoltà gravi a intervenire dall’esterno con una guerra. Insomma la Corea del Nord può creare molti più danni del fondamentalismo islamico. Quindi, inevitabilmente, il risultato del 28 settembre non potrà essere preso alla leggera.