LUIGI GRASSIA, La Stampa 22/9/2010, pagina 33, 22 settembre 2010
Nel Dna dell’uro il segreto dell’origine degli Etruschi - Si dice che due indizi facciano una prova; perciò, se c’è da risolvere un giallo storico in cui la prova principe si ostina a non farsi trovare, come via alternativa si può tentare di mettere insieme vari elementi indiretti, e vedere se per caso puntano tutti nella stessa direzione
Nel Dna dell’uro il segreto dell’origine degli Etruschi - Si dice che due indizi facciano una prova; perciò, se c’è da risolvere un giallo storico in cui la prova principe si ostina a non farsi trovare, come via alternativa si può tentare di mettere insieme vari elementi indiretti, e vedere se per caso puntano tutti nella stessa direzione. Prendiamo il caso degli Etruschi. È singolare che di un popolo così, che ha lasciato dietro di sé tante testimonianze archeologiche, non si conosca neanche l’origine. Molti studiosi sono convinti che provenissero dalla Lidia (Turchia), ma una forte pattuglia sostiene la tesi dell’origine autoctona, italica, e altri ancora pensano al Centro Europa. La «pistola fumante» per dirimere la questione non è ancora saltata fuori. Ma un contributo forse decisivo può venire da una fonte inaspettata: alcuni ricercatori di paleo-genetica hanno ricostruito l’evoluzione dell’uro, un poderoso bovino che dominava le pianure d’Europa nei millenni scorsi (si è estinto 400 anni fa), e per puro caso questi scienziati hanno trovato qualcosa che si collega con l’origine degli Etruschi e forse potrebbe aiutare a risolvere il loro mistero. Non è una prova: è un indizio, ma pesante. L’uro era un bestione che si faceva notare. Era alto in media 175 centimetri al garrese, cioè 25 centimetri più di un toro o di una mucca attuali; il maschio era nero (la femmina rossiccia) e sfoggiava delle lunghe e possenti corna arcuate a forma di lira. Quando ancora non si sapeva niente di genetica, gli scienziati (tirando a indovinare) hanno battezzato l’uro «Bos primigenius», scommettendo sul fatto che rappresentasse la forma primitiva dei bovini domestici attuali; in realtà su questa discendenza ci siamo chiariti le idee solo di recente. Il primo gruppo di genetisti che ha analizzato il Dna dell’uro ha operato in Inghilterra, sui resti di alcuni esemplari locali, e il risultato è stato sorprendente: gli uri vissuti da quelle parti erano sì compatibili geneticamente con le mucche moderne che vivono in Europa, nel senso che, se uno dei loro pascolasse oggi dalle nostre parti, potrebbe accoppiarsi con le mucche nostrane e generare vitelli, ma a dispetto di molte somiglianze quegli uri avevano così tanti caratteri genetici peculiari e incompatibili da non potersi ipotizzare una discendenza diretta dei bovini europei attuali dagli uri inglesi. E l’esame di uri in Germania, in Polonia e in altri Paesi del Nord e Centro Europa ha dato risultati analoghi. Se le cose stessero così, punto e basta, cadrebbe l’ipotesi dell’uro come «Bos primigenius» dei tori e delle mucche di oggi. Invece le analisi su 20 uri italiani hanno dato esiti diversi. Giorgio Bertorelle e David Caramelli (delle università di Ferrara e Firenze) hanno individuato 17 animali con caratteristiche genetiche intermedie fra gli uri del Nord Europa e quelli del Medio Oriente; inoltre il Dna degli uri italiani è risultato davvero «primigenius» rispetto a quello dei bovini europei attuali. La ricerca è stata illustrata a Torino in una conferenza del polo biotecnologico bioPmed. Per riordinare le idee, lo schema (ipotetico) che si prospetta alla luce delle analisi genetiche è questo: l’uro è stato addomesticato in Medio Oriente, poi alcuni esemplari mediorientali sono stati incrociati con alcuni uri italiani, e da questo incrocio sono nate le razze bovine domestiche che si sono diffuse in Europa; invece gli uri del Centro e del Nord del continente sono rimasti animali selvatici, da cacciare per la carne ma non da addomesticare, finché non si sono estinti. Il mescolamento genetico fra uri mediorientali e italiani può essere avvenuto attraverso l’esportazione di singoli esemplari di bovini asiatici lungo le vie del commercio o tramite l’arrivo in Italia di mandrie, giunte al seguito di popolazioni umane che migravano. Che cosa c’entra tutto questo con gli Etruschi? La trasformazione dell’uro italico è avvenuta (in gran parte) durante il Neolitico, molto prima dell’epoca etrusca, però ancora nei secoli degli Etruschi i bovini moderni non avevano fissato il loro Dna in maniera definitiva ed erano suscettibili di apporti genetici esterni. E qui si inseriscono altre ricerche, condotte da Paolo Ajmone-Marzan dell’università di Piacenza, da Antonio Torroni di Pavia e da Luigi Luca Cavalli Sforza, da cui è risultato che i bovini delle razze toscane attuali Chianina e Maremmana hanno un Dna diverso da quelli del resto d’Italia e compatibile coi ruminanti del Medio Oriente; indizio di un evento successivo al Neolitico e coincidente, dal punto di vista temporale, con la presenza etrusca in Italia. Come se gli Etruschi si fossero portati dietro mandrie asiatiche. Questo corrisponde - in parte - alle ricerche sul genoma umano di Guido Barbujani, dell’Università di Ferrara, e del Torroni già citato, fatte rispettivamente sugli scheletri umani sepolti nelle necropoli etrusche e sul Dna mitocondriale dei toscani contemporanei, da cui è emersa una compatibilità degli uni e degli altri con i popoli anatolici, però anche con alcune stirpi della Cornovaglia e della Germania; altre stranezze, di cui sarebbe troppo lungo riferire, complicano il quadro. Qualunque ipotesi si faccia, i dati genetici nudi e crudi devono comunque essere interpretati alla luce di altri elementi. L’esame del Dna non basta da solo per scrivere la Storia e risolverne i misteri. Ma dai geni dell’uro qualche indizio è emerso. E punta verso la Turchia.