BARBARA GALLAVOTTI, La Stampa 22/9/2010, pagina 30, 22 settembre 2010
“Primo sguardo sulla materia del Big Bang” - I grandi esperimenti legati all’acceleratore LHC al Cern di Ginevra - il Large Hadron Collider - si scaldano i muscoli, e lo fanno da giganti, inanellando un risultato dopo l’altro
“Primo sguardo sulla materia del Big Bang” - I grandi esperimenti legati all’acceleratore LHC al Cern di Ginevra - il Large Hadron Collider - si scaldano i muscoli, e lo fanno da giganti, inanellando un risultato dopo l’altro. L’ultimo annuncio è arrivato ieri, da parte dei ricercatori impegnati nell’esperimento CMS, uno dei quattro costruiti per studiare i risultati degli urti fra le particelle che si scontrano nel grande anello sotterraneo. Se confermato, il risultato potrebbe portarci indietro nel tempo fino ai primissimi istanti di vita dell’Universo, quando ancora non esistevano i nuclei degli atomi. CMS è un colosso di 14 mila tonnellate, distribuite in un oggetto dal diametro di 15 metri e dalla lunghezza di 29. Per costruirlo ci sono voluti 16 anni e gli sforzi di una delle più grandi collaborazioni scientifiche mai create: vi lavorano 3100 scienziati, provenienti da 169 istituti di ricerca, distribuiti in 39 Paesi, e tra loro ci sono molti ricercatori italiani, a cominciare dal portavoce Guido Tonelli, che ha spiegato: «Ci possiamo solo attenere ai fatti e si tratta di qualcosa che non abbiamo mai visto prima». Come gli altri esperimenti connessi a LHC, anche CMS è stato costruito per rispondere a interrogativi di larghissimo respiro sulle origini e sulla natura dell’Universo e, in particolare, è dedicato a studiare gli scontri fra protoni accelerati ad altissima energia. In questi urti i protoni generano una cascata di altre particelle, il cui numero è molto variabile: in genere si tratta di una ventina, ma possono essere anche molte decine. Concentrandosi su urti il cui risultato finale è pari a 100 o più particelle, i ricercatori hanno osservato che in questi casi alcune di esse tendono a distribuirsi in gruppi, dimostrano cioè di essere in qualche modo correlate. Una correlazione del genere era già stata osservata in passato in esperimenti svolti presso i laboratori di Brookhaven, negli Stati Uniti, dove però a scontrarsi non erano protoni ma nuclei di atomi di oro e, quindi, oggetti dotati di massa molto maggiore. «Il fatto che il medesimo effetto osservato in scontri fra nuclei di oro si ritrovi anche in scontri fra protoni è di per sé interessante e si presta a molte diverse interpretazioni», spiega Sergio Bertolucci, direttore di ricerca del Cern. Ad esempio potrebbe essere un fenomeno dovuto alla natura dei quark, le particelle elementari che formano i protoni e tutti i nuclei atomici. Esistono però anche spiegazioni più ardite, nonostante i fisici esprimano la massima cautela. Una di queste butta una sguardo addirittura ai primissimi istanti dopo il Big Bang. A quell’epoca, secondo alcune teorie, per brevissimo tempo sarebbe esistito quello che i fisici chiamano un plasma di quark e gluoni. Oggi i quark non esistono allo stato libero, ma soltanto uniti tra loro a formare particelle più complesse. A fare da collante è la cosiddetta «forza forte», una forza fondamentale che può essere descritta come l’effetto di un incessante scambio fra i quark di altre particelle, chiamate appunto gluoni. Nella notte dei tempi sia i quark sia i gluoni avrebbero goduto di un’effimera libertà e per una frazione di secondo si sarebbero comportati come una goccia di liquido che esplode, espandendosi a incredibile velocità. Un impercettibile lasso di tempo dopo, i quark si sarebbero trovati incatenati dai gluoni: una condizione che ha reso possibile il formarsi dei nuclei atomici e, nel corso di miliardi di anni, anche della materia che costituisce i nostri corpi. «Dal punto di vista sperimentale l’esistenza del plasma di quark e gluoni subito dopo il Big Bang non è mai stata completamente provata. I risultati dell’esperimento di Brookhaven, però, secondo alcune interpretazioni darebbero indicazioni in questo senso e, se così fosse, l’annuncio di CMS costituirebbe una ulteriore prova», spiega Antonello Polosa, fisico teorico all’Università di Roma La Sapienza. È ancora presto per capire se il risultato di CMS apra davvero una finestra inedita sulle origini del cosmo. Ma è soltanto questione di tempo per avere nuovi indizi. Un altro dei grandi esperimenti connessi con LHC, «Alice», è stato infatti pensato proprio per studiare il plasma di quark e gluoni, e fra non molto sapremo che cosa ha da dire al proposito. E nel frattempo CMS continuerà a indagare, come pure l’esperimento «Atlas» che dei quattro connessi a LHC è il suo più diretto concorrente.