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 2010  settembre 22 Mercoledì calendario

Tutti pazzi per la giada. Supera il prezzo dell’oro - Uno «jade standard» al posto del buon vecchio «gold standard»? Se è vero com’è vero che la Cina si sta imponendo nel mondo come grandissima potenza economica, seconda ormai solo agli Usa, è logico che si affacci un’alternativa orientale al lungo e incontrastato dominio dell’oro come bene prezioso per definizione

Tutti pazzi per la giada. Supera il prezzo dell’oro - Uno «jade standard» al posto del buon vecchio «gold standard»? Se è vero com’è vero che la Cina si sta imponendo nel mondo come grandissima potenza economica, seconda ormai solo agli Usa, è logico che si affacci un’alternativa orientale al lungo e incontrastato dominio dell’oro come bene prezioso per definizione. E il dato sicuro è che la giada del tipo più pregiato l’ha superato in valore: tremila dollari l’oncia - con un vertiginoso aumento di dieci volte in un decennio - contro il record massimo di 1.043,78 dollari/oncia registrato dall’oro a ottobre 2009. Scatenando una corsa alla giada che, come la mitica corsa all’oro, ha i suoi fiumi e il suo Far West: quello cinese è il tormentato Xinjiang, l’antico Turkestan, più noto alle cronache per i ricorrenti e violenti scontri tra la minoranza uigura e la maggioranza (immigrata) han. Il fiume è lo Yorungqas, il fiume della Giada bianca appunto, che scorre fangoso e benefico nell’oasi di Khotan. Qui da millenni la corrente trascina a valle dai monti Kunlun, in Tibet, grossi ciottoli levigati dall’acqua che ancora una trentina di anni fa venivano usati per creare terrapieni: gli uiguri non sono fan della giada e non l’hanno capita fino a quando non sono arrivati i cinesi ad acquistare a prezzi sempre più alti quei sassi che chiamano con poca poesia mutton fat, grasso di pecora. E che, appena lucidati o faticosamente (sono durissimi) e abilmente intagliati in forme fantasiose e delicate, viaggiano poi per negozi e musei della Cina aumentando di prezzo a valanga. Si rinnova così una tradizione dimenticata: nel 125 a.C., un letterato in visita a Khotan riferiva che lì veniva raccolta molta giada grezza per essere mandata all’Imperatore. Tributi via via cresciuti fino al XVIII secolo, ma sempre incerti come le vicende politiche della regione. Un cinese direbbe che è ovvio: yu, il carattere con cui si scrive la parola giada, significa magnifico, e somiglia a una I maiuscola con una linea nel mezzo dove la parte superiore rappresenta il cielo, quella inferiore la terra e la parte centrale il genere umano. Come a dire l’universo. E infatti yu, che compare anche nella parola sovrano, si usa per definire qualcosa di incommensurabilmente prezioso e incorruttibile, degno di un imperatore. Come l’oro, appunto. E anche meglio: Confucio attribuiva alla giada 11 virtù, tra cui la benevolenza (è dolce e lucida), la fedeltà (non irrita la pelle), l’educazione (per via del rituale nel suo abbinamento con gli abiti) e la sincerità (è difficile nasconderne i difetti) e sosteneva che un uomo doveva definire la sua condotta in accordo con le virtù della giada. Non a caso in Cina si dice: «l’oro ha un prezzo ma la giada non ne ha». Un geologo osserverebbe giustamente: quale giada? Ne esistono di vari tipi e colori e non sono nemmeno tutte la stessa pietra: quella dello Xinjiang, così come in generale quella cinese è per lo più nefrite, che i cinesi chiamano «zhen yu», vera giada, dalla Birmania arriva la giadeite, affine ma distinta. Ma come giada sono anche state fatte passare la serpentina, il quarzo, il marmo e persino la malachite. Da qui l’immenso traffico e la frequente contraffazione di una pietra che in realtà, un po’ come l’oro, trascende il suo reale valore. Perché la giada non è così rara, si trova anche in Australia, Canada e Usa dove semplicemente non gode dell’attenzione maniacale che la rende in Cina un talismano utile per salute, ricchezza, virtù, a cui in passato si attribuiva persino la capacità di preservare i cadaveri dalla decomposizione. Per ora un miracolo l’ha fatto: a Khotan più che a guardarsi in cagnesco, uiguri e han pensano a dividersi i profitti di un commercio miliardario. Come dice un mercante locale, Yacen Ahmat: «La giada non ha alcun significato nella nostra cultura, ma ringraziamo Allah che i cinesi ne vadano matti».