Giorgio Barba Navaretti e Gianni Toniolo, Il Sole 24 Ore 19/9/2010, 19 settembre 2010
MA L’ONDA MIGRATORIA NON SARÀ INFINITA - E
se la fonte s’inaridisse? Se gli stranieri che premono alle frontiere dei ricchi diventassero sparuti e radi? Siamo pronti a un mondo senza immigrati? Questo è uno scenario possibile secondo Jeffrey Williamson, il maggiore storico economico dell’immigrazione. Tra il 2020 e il 2030 i flussi di lavoratori dai paesi poveri inizieranno gradualmente a ridursi. Quasi scompariranno entro il 2050.
In effetti, se guardiamo ai trend temporali di emigrazione dal punto di vista dei paesi d’origine, questi sono stati sempre caratterizzati da una fase in crescita, un picco e poi una discesa. Insomma una U rovesciata, che è soprattutto spiegata dal livello di reddito. Se un paese è molto povero, ai suoi cittadini mancano perfino le risorse per emigrare, se è molto ricco nessuno se ne vuole andare. Le nazioni a reddito medio-basso sono i principali serbatoi di forza lavoro globale. Questa è ovviamente un’approssimazione in cui si innestano fattori molto diversi, sia economici sia demografici, ma di base rimane una causa potente dei flussi migratori.
Oggi il reddito dei paesi emergenti e in via di sviluppo, dove è concentrata la maggior parte della popolazione mondiale, sta rapidamente raggiungendo il livello in cui l’incentivo a emigrare inizia a ridursi. In media l’America Latina e l’Asia hanno già superato questo punto e solo l’Africa ha ancora molta strada da percorrere.
Questi scenari possono sembrare fantascienza, se ci limitiamo agli orizzonti temporali che guidano le politiche di Sarkozy e Berlusconi sulla questione dei campi Rom. Ma in realtà andrebbero presi sul serio e soprattutto utilizzati come uno spunto per considerare che cosa sarebbe il nostro mondo senza immigrati. Data la dinamica demografica attuale, l’inaridimento delle fonti estere determinerebbe una carenza di 70 milioni di lavoratori solo in Europa.
Gli stati inizierebbero dunque a competere tra loro per una risorsa scarsa? Fonderebbero forse delle agenzie di attrazione degli immigrati, così come oggi ci sono le agenzie di attrazione degli investimenti esteri? Si tornerebbe alle politiche di sussidio alla mobilità geografica o a inviati che battono le campagne dei pochi poveri come succedeva a fine Ottocento nel nostro Mezzogiorno?
Domande quasi provocatorie, ma ricche di spunti per ragionare sulle politiche europee e nazionali anche in questa fase storica di afflussi eccessivi. La questione, in situazione di abbondanza o di scarsità, rimane comunque sempre la stessa: le nostre società hanno bisogno d’immigrati, ma la loro integrazione ha costi sociali e politici, a volte elevati. Come renderne efficiente l’utilizzo economico evitando tensioni sociali? Si tratta ovviamente di rendere compatibile la domanda e l’offerta di lavoratori immigrati.
I grandi numeri di clandestini, che caratterizzano questi anni d’abbondanza di forza lavoro straniera, derivano in buona misura dalla carenza d’informazioni che rende più difficile avvicinare un potenziale lavoratore straniero al giusto posto di lavoro nel paese d’arrivo. E in una situazione di scarsità, come quella che già oggi caratterizza la disponibilità di talenti qualificati, è invece essenziale evitare sprechi di risorse, con costi umani elevatissimi, facilitando l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro immigrato. I sistemi a punti introdotti in Australia e in Canada hanno dimostrato di essere uno strumento efficace a questo scopo.
In Europa qualunque soluzione rimane comunque poco efficace se mantiene una dimensione strettamente nazionale. La mobilità interna del lavoro c’impone di adottare politiche integrate e coordinate nello spazio europeo. Nel mondo futuro con pochi immigrati descritto da Williamson ogni paese europeo aumenterebbe la propria attrattività se fosse in grado di garantire anche la libera mobilità dei lavoratori stranieri all’interno di tutto lo spazio europeo. E ancora, pensando ai talenti scarsi di oggi, un ingegnere indiano verrebbe certamente più volentieri a lavorare a Milano se senza vincoli potesse in un secondo tempo trasferire la sua famiglia a Manchester.
All’interno della Ue inevitabilmente le scelte di un paese influenzano nel male o nel bene quelle di tutti gli altri. Nella scarsità o nell’abbondanza d’immigrati nessuna politica nazionale potrà fare a meno dell’Europa.