Ferrarella Luigi, Corriere della Sera, 20 settembre 2010, 20 settembre 2010
LE RIFORME, LA GIUSTIZIA E IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA
La sindrome di Babele
E’ vero ma è falso: è questa la caratteristica di un sempre maggior numero di comunicazioni istituzionali, che inquinano il dibattito pubblico non più soltanto (come da tempo accade) piegando le parole a significati impropri che poco a poco le snaturano e usurano, ma anche combinando una trionfalistica enfasi su alcune verità all’ eclissi invece su altre realtà sottaciute fin quasi alla contraffazione.
Due piccoli esempi nel campo della giustizia lo mostrano. L’ altro giorno il ministro dell’ Interno ha risposto in Parlamento a un’ interpellanza sul Fondo unico giustizia (Fug) creato presso Equitalia Giustizia per far confluire e fruttare i contanti e titoli sottratti alla criminalità dall’ autorità giudiziaria, per troppi anni inutilizzati e sparsi a far felici solo banche e Poste, e ora invece destinati in prospettiva dalla legge a essere suddivisi tra i ministeri dell’ Interno e della Giustizia: «Posso dire - ha comunicato Maroni - che al primo settembre 2010 risultano intestate al Fug risorse per 2 miliardi e 200 milioni di euro che, essendo denaro contante, possono essere immediatamente utilizzati. Confido, quindi, che i tagli di bilancio possano essere compensati da queste risorse straordinarie e anzi aumentare la disponibilità di risorse».
Ora è vero che al Fug sono intestati soldi sequestrati per 2,2 miliardi di euro. Ma è falso che Interni e Giustizia siano «immediatamente» più ricchi di 2,2 miliardi, perché i soldi subito realmente devolvibili allo Stato oscillano per ora tra i 60 milioni di euro comunicati qualche mese fa da Equitalia e gli 80 milioni che una stima interna accredita ufficiosamente adesso. La ragione è ovvia: lo Stato può far fruttare (mentre ha in parcheggio) i soldi sia sequestrati sia confiscati, ma può incamerare definitivamente soltanto i soldi confiscati all’ esito di tutti i ricorsi, non certo i soldi sequestrati che in linea teorica potrebbe in futuro dover restituire a chi ne risultasse legittimo possessore nei successivi gradi di giudizio.
Una quarantina di milioni a testa in più per le polizie e per i tribunali non sono da buttar via, e quando il Fug andrà a regime è probabile che nei prossimi anni generi davvero cospicue risorse aggiuntive: ma allora perché giocare sull’ equivoco dei 2,2 miliardi «immediati»?
Sul sito invece del ministero della Giustizia, il guardasigilli Alfano è da mesi il protagonista di un video sul «sistema dei giudici di pace che smaltisce e gestisce circa 2 milioni di procedimenti l’ anno» con «file notturne, infinite attese, confusione. Per risolvere tutto questo, abbiamo messo tutto il meccanismo di funzionamento dei giudici di pace su Internet nel sito del ministero». Vero: si può compilare il ricorso contro una multa sul modulo rintracciabile sul sito. Ma anche falso: perché poi, per far sì che il ricorso abbia valore, si deve per forza stampare il modulo compilato su Internet e spedirlo tramite raccomandata, oppure presentarlo personalmente all’ ufficio del giudice di pace competente, completo degli allegati. Anche in questo caso una modulistica che funzioni da «prenotazione» informatica, e che in seguito permetta di seguire dal proprio pc l’ iter del ricorso, è già un lodevole passo avanti: ma allora perché far credere un di più che invece ancora non è?
Un controsenso da sottoporre magari anche al ministro Brunetta (visto che uffici pubblici come quelli dei giudici di pace non hanno ancora la Pec, posta elettronica certificata, pur prevista dalla legge), e al ministro Tremonti prima che nelle interviste (come quella del 4 settembre) si domandi di nuovo come mai le pur introdotte regole per le notifiche telematiche «non hanno ancora funzionato» su larga scala, «un po’ come avere una Ferrari e tenerla in garage o metterla in un ingorgo di traffico».
Prima di riformare la giustizia, le istituzioni, il lavoro o la sanità, forse c’ è da riformare l’ uso che si fa del linguaggio in politica. Lo spaccio di parole è una droga pesante la cui incontrastata liberalizzazione in questi anni sta uccidendo di overdose il confronto pubblico. È una deriva che, anche al prezzo di rinunciare alla comprensibile tentazione di staccare qualche dividendo politico a buon mercato, gioverebbe a tutti frenare prima che la sindrome di Babele impedisca non solo di confrontarsi schiettamente, ma finanche di capirsi.