GIAMPAOLO VISETTI , la Repubblica 21/9/2010, 21 settembre 2010
LE DONNE DEL DRAGONE
Se una donna riesce a venire al mondo, in Cina, il grosso è fatto. Le coppie, ossessionate dall´obbligo del figlio unico, selezionano il maschio.
Se si ostina infine a nascere una femmina, nella vita partirà però sempre alla pari e arriverà molto spesso prima. Anche nella considerazione tra i sessi, in pochi anni, Pechino ha bruciato un´era e saltato estenuanti tappe. Questo spiega perché, grazie ad una differenza che pone la Cina di oggi su un altro pianeta rispetto all´Occidente, la nuova potenza del secolo viaggia a velocità doppia. Sempre un po´ in ritardo, Europa e Stati Uniti continuano a identificare l´operaio e la classe media cinesi quali vertebre dorsali della crescita e della possibile salvezza dell´economia globale. L´Oriente, assieme all´Africa e ai protagonisti emergenti sulla scena del benessere, ha già aggiornato l´agenda. Sono le donne il nuovo potere della Cina. Guidano il bolide finanziario del presente, condizionano l´unico esperimento di successo di autoritarismo capitalista, comandano le imprese più ricche e innovative, ne costituiscono la mano d´opera specializzata e impugnano la carta di credito nel solo mercato che ha saputo ignorare la crisi. L´FF (Female Factor) sintetizza in Cina proletariato e colletti bianchi e nessuno si sorprende.
Politica ed economia sanno bene che produzione e consumo, pilastri della stabilità del regime post-comunista, sono ormai regolati dal lavoro e dal gusto femminili. Gli stranieri invece, beati negli stereotipi della nostalgia, davanti ai dati della "Cina in rosa" trasaliscono. Nella classifica 2010 di Forbes, che elenca i mille miliardari del pianeta, le donne sono solo 14. Sette, tra cui la prima, sono cinesi, e cinque di queste sono quarantenni. Secondo la società di consulenza fiscale Grant Thornton International, otto aziende cinesi top su dieci hanno donne nei ruoli chiave. L´Europa non arriva alla metà, meno ancora negli Usa. Le amministratrici delegate cinesi sono ormai il 39%, rispetto al 20% delle americane e al 12% delle europee: l´Italia delle cosiddette pari opportunità non arriva al 4%. Il 78% delle studentesse universitarie, in Cina, dichiara di aspirare ad una carriera che le proietti al comando: in Europa solo il 24% delle ragazze osa sognare, negli Stati Uniti il 53%.
L´esplosione del Girl Power cinese non si limita al settore privato. L´istituto nazionale di statistica rivela che il 67% degli uffici pubblici, compresi quelli locali, è guidato da una dirigente. Sono loro a scegliere la rotta dell´astronave asiatica, imponendo le coordinate a un parlamento dove le donne sono il 21,3%. Solo le nazioni nordeuropee superano una simile percentuale di rappresentanza politica. Ciò che noi riteniamo una conquista, i cinesi considerano un traguardo obsoleto. Guo Zhigang, autore di uno studio dell´Accademia di scienze sociali, lo spiega così: «Le cariche politiche non sono assegnate dal popolo, ma dal partito. Concorrervi è però una scelta personale. Se le donne rinunciano, significa che hanno rivolto altrove, e prima di tutto al business, la loro ambizione». Margaret Tatcher in Gran Bretagna e Angela Merkel in Germania, o la corsa presidenziale di Hillary Clinton negli Usa, sono state salutate dall´Occidente come il segnale di una salvifica maturazione culturale. In Cina, a partire dall´alba della rivoluzione comunista, le donne sono invece sempre state nella leadership. Wu Yi, vicepremier fino al 2008, ministro della Salute e poi del Commercio, ha negoziato l´ingresso del Paese nella Wto. È una data che ha cambiato il destino dell´umanità e spalancato alle cinesi le porte del loro dominio contemporaneo. Che questo sia presto migrato dal partito all´azienda, dalla politica agli affari, spiega la natura capitalista della transizione cinese e il profilo attuale delle donne in Oriente.
Quello che ci si ostina a definire Partito comunista, il politburo che lo rappresenta, sono un´ereditaria classe dominante sempre più pericolosamente collusa con l´illegalità che tiene in ostaggio i lobbyisti del business di Pechino, di Shanghai e delle metropoli emergenti. Il cuore delle decisioni si è però spostato dalla Città Proibita ai loft dei grattacieli delle City, dove regnano quelle che in Cina chiamano le «Fa Mulan in carriera». Non ambiscono a presiedere inutilmente la nazione, ma ciò non toglie che le nuove eroine del successo made in China, mitizzate dalla Disney, presentino un solo tratto comune alla guerriera che, per onorare il padre e gli antenati, salvò il Celeste Impero: vincono. E non sono nemmeno il clone delle "compagne" che Mao Zedong definiva «l´altra metà del cielo», riconoscendo già sessant´anni fa che «le donne posso fare tutto ciò che gli uomini fanno». Ma a quelle origini, feudali e rivoluzionarie, devono il ruolo decisivo di oggi. Isabel Coleman, docente al Council on Foreign Relations, lo ha spiegato a Newsweek. «L´impero, per secoli, ha umiliato le donne cinesi. Il maoismo, pur nell´inaccettabilità della sua tragedia, ha consegnato loro il potere. Qui non ci sono state le conquiste femministe occidentali. Improvvisamente, dall´alto, le donne non sono state solo ammesse fuori di casa, ma previste».
Occasioni e responsabilità, sostenute dalla fame di rivincita, suggeriscono che le donne cinesi, oltre che a guidare la loro patria, si apprestano a regolare i bilanci delle multinazionali da cui tutti dipendiamo. Una consolidata parità sostanziale, che svela una Cina assai meno paternalistica di quanto si creda, non basta però a giustificare lo straordinario successo delle sue donne. Questo ha radici ben più concrete.
Dopo il 1949 Pechino ha archiviato realmente le neiren, le mogli che per tutta la vita non abbandonavano il focolare domestico. Scuole e università si sono aperte, e i test per l´élite dello studio, incubo di ogni giovane cinese, hanno iniziato a promuovere le femmine. Da vent´anni la percentuale degli ammessi ai master dei migliori atenei, serbatoio di ogni organizzazione di prima fascia, è illuminante: i maschi non arrivano al 30%. Le cinesi, fin da bambine, crescono così con un´idea chiara: sanno di poter puntare in alto, e che solo se ci arrivano potranno lasciare il villaggio, trasferirsi in una metropoli ed essere libere dalla cura dei vecchi. Carriera, ambizione e ricchezza, nell´Occidente plasmato dal cristianesimo, restano valori inconfessabili. In Cina, al contrario, sono doverose qualità. Le donne, per il successo, non solo sacrificano tutto, ma non hanno alcun problema a dichiararlo. Poche, con la scusa della famiglia, rinunciano alla scalata del potere e tutti i modelli, affermati dalla tivù, impongono il «profilo Du Lala».
Questo è il nome della protagonista di una serie di bestseller e sit-com, seguiti da centinaia di milioni di persone. La giovane, bella, elegante ed emancipata signorina Du, spiega al Paese tutti i trucchi per approdare nella stanza dei bottoni. Un mix di sacrificio, intelligenza, forza, cinismo e seduzione, la cui morale è la nuova etica delle donne cinesi: la medicina che può curare la società globalizzata non è la felicità, ma il successo, e l´ambizione è il motore dello sviluppo, elemento indispensabile sia per la crescita che per la pace. Il ritorno della Cina al centro del planisfero si scopre così fondato sull´ambizione delle donne e la nazione, prendendone atto senza ipocrisia, si organizza per sostenerla. Fabbriche, uffici e condomini offrono centri diurni di Stato che si curano dei figli fino all´età scolare.
Esternalizzare la loro educazione non è considerato egoismo, ma il prezzo che assicura loro maggiori chances. Le aziende pagano cooperative che assolvono i lavori domestici e per una donna impegnata nella carriera vivere lontano dal marito, senza complessi di colpa, è naturale. Dietro alle 7 miliardarie cinesi, alle 2.400 milionarie ufficiali e alla massa di donne benestanti che guadagnano regolarmente più dei loro compagni e mantengono la famiglia, resta l´atavica paura della povertà, il terrore di non riuscire a sposarsi o di essere lasciate appena sfiorisce la giovinezza, la determinazione a sentirsi, per la prima volta, realizzate e indipendenti.
Tutte le ricerche, ma è sufficiente trascorrere qualche ora in un centro commerciale, in un aeroporto o in un ristorante, concordano però nell´identificare la chiave della "nuova spinta rosa" della Cina con l´obbligo del consumo.
Sulla vetta del successo si affollano le regine delle imprese di costruzione, delle compagnie di telecomunicazioni, di banche e fondi di investimento, di industrie pesanti e hi-tech, di aziende commerciali, miniere e holding dell´energia. Seguono, come dappertutto, le star del cinema, della tivù, della musica e dello sport. Nell´esaltare le icone della Cina che sorpassa Giappone e Stati Uniti, l´accento non è posto sulle loro qualità di carattere, sulla loro preparazione e sulla determinazione a farcela con le proprie forze, ma sulla misura della loro spesa e sull´inedito livello del loro tenore di vita. È un passaggio essenziale, non solo per le donne, ma per il Paese, che assieme alle neiren seppellisce i comandamenti estremi del comunismo.
Dall´"arricchirsi è glorioso", attraverso il potere femminile, la Cina tecnocratica passa all´"esibirsi è armonioso". Un´intuizione politica decisiva, che trasforma l´ottimismo nella materia prima più ricercata del pianeta. Governi e uffici markenting internazionali cominciano a capire il peso del giacimento cinese.
È l´ottimismo dell´Oriente ad aumentare i consumi che spingono l´economia mondiale e nessuno, nei prossimi trent´anni, spenderà quanto la Cina, dove le carte di credito sono nelle mani delle donne. Gloria dunque all´arma segreta del sex power e alle sue MasterCard dello sdoganato Impero di mezzo, paradiso dove lusso e shopping crescono il 45% in più rispetto al Pil. Il regista Zhang Yimou si lamenta perché «nella Cina formato Europa anni Sessanta» non riesce più a trovare «i volti belli, innocenti, puliti e puri della mia patria». Peggy Yu, fondatrice del contraltare asiatico di Amazon e autrice di un´invidiatissima autobiografia-scandalo, risponde di non rimpiangere affatto «fame, slogan, thè e panda in estinzione». Forse le nuove donne cinesi saprebbero stringere il diritto alla dignità e l´innocenza perduta in un unico abbraccio. Ma nemmeno qui, per ora, decidono tutto loro.