ANDREA BONANNI, la Repubblica 21/9/2010, 21 settembre 2010
NELLA CITTÀ PIÙ XENOFOBA DI SVEZIA IL SOGNO DELL´INTEGRAZIONE È FALLITO - SÖDERTÄLJE
«Non è vero che abbiamo sbagliato. Non è vero che il nostro modello è fallito. Degli immigrati abbiamo bisogno ora, e avremo ancora più bisogno in futuro. Il problema è che il sistema si è inceppato per l´eccessivo sovraccarico. Dobbiamo solo trovare il modo di farlo funzionare di nuovo». Nel palazzo di vetro del comune, Anders Lago, sindaco socialdemocratico di Södertälje, cerca disperatamente di negare che la Svezia sia di fronte a quella che il quotidiano liberale Dagens Nyheter definisce "La fine di un´epoca". Le elezioni hanno segnato il tracollo dei socialdemocratici che registrano il peggior risultato elettorale dal 1914 e l´affermazione di un´estrema destra xenofoba che per la prima volta entra in parlamento con un ruolo determinante. Dopo l´Italia, dopo l´Olanda, dopo il Belgio e l´Ungheria, anche la Svezia, patria dello stato sociale, delle politiche di asilo e della civiltà eretta a sistema di governo scopre di non essere immune dal virus del populismo anti-islamico e anti-immigrati.
A livello nazionale l´estrema destra dei Democratici svedesi ha raggiunto il 5,6 per cento. Ma qui a Södertälje, insieme ad un altro piccolo partito ancora più razzista, gli xenofobi superano il dieci per cento. In questa gradevole cittadina di centomila abitanti a quaranta chilometri da Stoccolma, patria di Bjorn Borg, della Scania e del gigante farmaceutico Astra-Zeneca, i cittadini di origine non svedese rappresentano il 44% della popolazione.
La composizione etnica di Södertälje ripercorre i mali del mondo, e la disperata ambizione svedese di potervisi opporre. «La prima ondata di immigrati era di origine turca e siriana, quando quei Paesi erano in preda alla dittatura - spiega il sindaco - Poi, ai tempi della guerra nei Balcani e della pulizia etnica, sono arrivati i bosniaci. Quindi è stata la volta dei profughi di guerra iracheni. Nell´ultimo anno sono arrivati altri ottomila rifugiati dall´Iraq, dall´Afghanistan, dalla Somalia. Integrarli diventa sempre più difficile».
In Svezia gli stranieri rappresentano il 14% della popolazione, record europeo. Ma il Paese praticamente non ha immigrazione economica. La stragrande maggioranza di chi arriva qui lo fa chiedendo asilo politico per sfuggire da una guerra o da una dittatura. E riceve dallo Stato un sussidio, un alloggio, e aiuti di vario genere per far fronte alle necessità più importanti. Un onere che molti elettori, nonostante l´economia continui a crescere, considerano ormai eccessivo.
«Il problema è che per i rifugiati integrarsi, trovare un lavoro, è un processo lento e difficile - spiega Anders Lago - mediamente una donna ci mette dieci anni, un uomo circa sette. In queste condizioni, è chiaro che si determinano situazioni socialmente esplosive». Fino a ieri Södertälje era considerata un modello di integrazione. Lago era perfino stato invitato a parlare davanti al Congresso americano per spiegare "la via svedese" alla società multietnica. Ora però l´esplodere delle formazioni xenofobe che hanno triplicato i loro voti in quattro anni dimostra che questo modello non funziona più.
Jimmie Akesson, il leader dei Democratici svedesi, è un brillante trentenne con la faccia da ragazzino che ha saputo dare un´immagine per bene a un partito che ancora pochi anni fa sfilava inalberando il saluto nazista. La scalata al successo è cominciando conquistando le assemblee parrocchiali della Chiesa luterana, diventata agli occhi di molti l´ultimo baluardo di una identità nazionale travolta dalla globalizzazione. Ed è proseguita con una politica soft, fatta di sorrisi e di apparente ragionevolezza: la stessa ricetta con cui, quattro anni fa, il leader dei conservatori Fredrick Reinfeldt ha sottratto la maggioranza ad un partito socialdemocratico vecchio e logorato da una lunga permanenza al potere. Il risultato è che oggi Akeson ha rubato voti in egual misura ai conservatori e ai socialdemocratici. «Il ritratto dell´elettore tipo di Akeson - dice Annika Ström Melin, editorialista del Dagens Nyheter - è abbastanza preciso: giovane, maschio, impiegato in lavori manuali, residente nel Sud del Paese dove la pressione degli stranieri è più forte. Molta di questa gente fino alle ultime elezioni votava socialdemocratico. Oggi ha scoperto la paura dell´altro».
Ma il problema dell´immigrazione in Svezia è più complesso di quanto possa apparire a prima vista. «L´estrema destra ha agitato lo spauracchio della criminalità - spiega il sindaco di Södertälje - Ma per esempio da noi non sono i rifugiati a compiere crimini, semmai i figli o i nipoti degli immigrati di trenta, quarant´anni fa, che non sono riusciti a integrarsi e si sono progressivamente auto-ghettizzati. In compenso oggi noi non saremmo in grado di andare avanti senza gli stranieri. Negli stabilimenti di Scania, la metà della manodopera è composta da immigrati. E le ultime ondate hanno un livello culturale molto elevato. Il quaranta per cento dei nuovi rifugiati ha ricevuto una educazione accademica: sono mediamente più colti dei giovani svedesi. Di questa gente non possiamo fare a meno. La soluzione non è rimandarli indietro, ma integrarli più rapidamente. Se la loro presenza sta mettendo in pericolo il miracolo svedese, senza di loro questo miracolo non esisterebbe proprio».