FILIPPO CECCARELLI, la Repubblica 21/9/2010, 21 settembre 2010
TROMBE, GRISAGLIE E BACIAMANI E I MASSONI GRIDANO: VIVA GARIBALDI
Nell´incertezza rituale, inevitabile tributo di un lontano passato a un presente insieme misterioso e caotico, si ritrovano ex comunisti e bersaglieri, post fascisti e cardinali, giornalisti invasivi e addetti stampa cortesemente vendicativi, le scolaresche con le bandierine tricolori di plastica e l´onorevole Nucara che, impugnando l´antico stendardo repubblicano, può mettersi finalmente in posa davanti alla storica breccia quando tutto ormai è finito da quelle parti, e anche questo XX settembre, 140° anniversario, si avvia a diventare eminente prodotto di consumo mediatico.
Roma bellissima sotto il sole: per un paio d´ore lo slargo che da piazza Fiume conduce a Porta Pia si trasforma, con rispetto parlando, in una specie di parco tematico del Risorgimento. Però virato nel senso di una riconciliazione che forse, per la maggior parte degli italiani, c´era già stata. «Tutto si aggiusta» diceva del resto la zia di Andreotti, Mariannina, che a suo tempo vide «gli emissari di Satanasso», come li chiamò Pio IX, violare la Città Eterna mettendo fine al potere temporale.
Bene, a tanti anni di distanza il sindaco Alemanno accoglie il Segretario di Stato Bertone producendosi in un enfatico teocratico baciamano; Napolitano è l´unico a raccogliere applausi da dietro le transenne; e quando il cardinale termina la sua orazione richiamando l´invocazione di Papa Mastai Ferretti, «Gran Dio, benedite l´Italia!», dall´imbocco di via Alessandria, strada di ghiottissime trattorie, dove è relegata una sparuta delegazione del Grande Oriente densa di barbe a pizzetto e gagliardetti abbastanza polverosi, si leva il grido, invero gloriosamente e deliziosamente anacronistico: «Viva Garibaldi!». Segue quindi, per due volte: «Abbasso Pio IX!».
Rispetto alle massoniche escandescenze, anch´esse sintomo di un paese non esattamente proiettato verso il futuro, il nunzio apostolico Marchetto resta pacifico e imperturbabile con le mani giunte sul grembo. Ci sono gli amministratori romani Polverini, in gran spolvero, e Zingaretti, a suo agio; c´è Gianni Letta e il sottosegretario Giro. Mancano all´appuntamento il principe Sforza Ruspoli, che pure aveva promesso di partecipare con il drappo degli zuavi; e, già un tantino più problematici, risultano assenti gli iper-papalini di Militia Christi; in compenso dal museo nazionale dei bersaglieri esce pensieroso Gustavo Selva.
Dentro, un ufficiale ha mostrato con dovizia di particolari al presidente della Repubblica e al cardinale Segretario di Stato alcune reliquie risorgimentali del corpo: fez, bisacce, gavette, penne di pavone, «ma erano troppo fluorescenti», scarponi, «sa, allora si portavano senza calze...». Bertone, salesiano che certamente non ignora quanto filo da torcere diede il suo fondatore San Giovanni Bosco alla dinastia Savoia e ai ministri liberali, fa sì-sì con la testa. Fuori, ci sono i radicali che cercano di distribuire un libro di Ernesto Rossi e inalberano cartelli: «Vaticano e partitocrazia: serve un´altra Porta Pia». Con inutile zelo dei poliziotti chiedono i documenti a Sergio Rovasio e al segretario Staderini.
Vana domanda: c´era bisogno di tutto questo calore a freddo per costruire la «commemorazione condivisa» del XX settembre? Risposta per forza generica e interlocutoria: i poteri, specie se nel frattempo divenuti irriconoscibili l´uno all´altro, hanno bisogno di queste occasioni per misurare distanze e contiguità, e magari scambiarsi accorti segnali in vista di possibili sviluppi, magari la fine del berlusconismo, e si vedrà.
Intanto Roma conta con il dovuto distacco le sue innumerevoli ricorrenze. Per il 25° della breccia fu piazzata lì davanti alle fatidiche mura una colonna con tanto di Vittoria alata e incombente. Per il 50° venne montata la grande lapide con i nomi dei caduti. Scoccato il centenario, racconta Vittorio Gorresio in Roma ieri e oggi (Rizzoli, 1970), il presidente della Repubblica Saragat sconsigliò esaltazioni, parate, cerimonie e chiese all´allora sindaco Petrucci di onorare la data togliendo di mezzo le baracche.
Non che oggi la capitale e i suoi cittadini non avrebbero bisogno di seri e umili interventi, quelli che solo a sentirli nominare, forse perché senza soldi, gli aspiranti statisti alzano gli occhi al cielo: traffico, buche, asili, periferia abbandonata, aria irrespirabile. Così, tra un sogno olimpico, una corsa di Formula1 e l´ennesimo masterplan, il sindaco Alemanno ha ritenuto di poter riaprire anche il gran cerchio della storia patria, con le sue dispute confessionali, per chiuderlo poi con un immane e costoso programma di discorsi, fanfare, fiaccole, concerti, proiezioni, inaugurazioni, laboratori, cantastorie, percorsi espositivi, viaggi spazio-temporali, interventi laser, Pino Insegno e Montesano. In una parola: spettacoli.
Meglio di niente, forse - anche se la storia di solito premia chi lascia qualcosa di concreto. La breccia di Porta Pia rientra nel novero di tali eventi: ma come sa meglio di tutti la chiesa cattolica, 140 anni sono troppi e insieme troppo pochi per mettere la parola fine a qualcosa che dura da secoli.