Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 21/09/2010, 21 settembre 2010
L’ITALIANO CHE CAMBIA: SEMPLIFICAZIONE O SCIATTERIA? —
Se me lo dicevi prima ci pensavo io. «Allora, dove sarebbe l’errore?», sbotta Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della crusca. E tanti saluti al congiuntivo («se me lo avessi detto...»), proprio come fanno i calciatori alla tv. «Guardi che scrivevano così anche Manzoni e Bembo, il codificatore supremo della lingua italiana» riprende il professore prima di poggiare la cornetta ed avvicinarsi alla libreria. «Ecco qua, "Promessi sposi", capitolo 34. "Se mi si accostava un passo di più, l’infilavo addirittura il birbone". Niente congiuntivo. Magari di Manzoni possono dire che era uno scapestrato e allora aspetti, prendo le lettere di Pietro Bembo: "Non ti bastavano le ingiurie se tu ancora quella ferita non mi davi". Niente congiuntivo».
L’Accademia della crusca è l’istituto nazionale per la salvaguardia e lo studio della lingua italiana. Salvaguardia, mica robetta. Ma non vuol dire segnare sempre con la matita rossa i nuovi usi della lingua, quella parlata tutti i giorni nelle case, negli uffici e nei bar, magari distante anni luce da quella immobile nei libri di grammatica. «Soprattutto perché — spiega il professor Sabatini — i cambiamenti più vistosi riguardano l’accettazione di fenomeni di antica data che prima venivano censurati e che invece si sono affermati perché funzionano meglio. Se durano, un motivo ci sarà, no?». L’esempio classico è la frase «Il latte lo compro io». Per anni questa struttura è stata considerata un’inutile ripetizione, una brutta variazione del più limpido «Io compro il latte». E invece no: se già si stava parlando di latte, è proprio quella la forma che funziona meglio. Anche stavolta nella libreria del professore c’è un precedente. È una sentenza del decimo secolo, una lite su alcuni poderi nella zona di Montecassino: «Quelle terre — dicono alcuni testimoni in volgare — le ha posse dute l’abbazia». Nulla di nuovo.
Ma non c’è solo il recupero del passato nei cambiamenti della nostra lingua. Tull i o de Mauro — linguista di fama mondiale e per alcuni mesi anche ministro dell’Istruzione — parla di «legittima autodifesa» dalle regole sulle quali la «scuola ha picchiato più duro». Il passato prossimo al posto del passatore moto? «Tutti noi, se dobbiamo dire che abbiamo cotto qualcosa anni fa, preferiamo cambiare strada e dire "ho cucinato"». Io cossi, tu cocesti, egli cosse... il terribile ricordo dei verbi irregolari ci spinge verso sentieri meno impervi: «ho» più un bel participio facile facile. Ma non può essere solo questo. Il verbo «scoprire» non è perfido né irregolare. Eppure la maggior parte di noi dice «Cristoforo Colombo ha scoperto l’America nel 1492» non «Cristoforo Colombo scoprì l’America nel 1492». Un errore? Il professor Sabatini — che a questo punto sarà diventato simpaticissimo a tutti gli studenti italiani — dice di no: «Bisogna tener conto della dimensione psicologica del tempo, non solo di quella fattuale. E se dico che Cristoforo Colombo ha scoperto l’America vuol dire che nel mio discorso considero ancora attuali gli effetti di quella scoperta». Eccola, forse, la causa della scomparsa del passato remoto: nell’uso vivo della parola siamo abituati a parlare di cose che riguardano il presente, anche quando partono da eventi passati e pure remoti.
Più che gli scrittori ed i linguisti, però, a maneggiare la lingua di tutti i giorni sono gli autori delle fiction tv. Ivan Cotroneo ha scritto la sceneggiatura di «Tutti pazzi per amore» e dice subito che per costruire un personaggio credibile è fondamentale farlo parlare come noi umani. «Digli cosa vuoi, ad esempio. Nei dialoghi usiamo sempre "gli". "Le" per le donne o "loro" per il plurale non esistono più». Lui ne soffre, in realtà. Da scrittore e traduttore è maniaco di queste cose. «Ma una precisione del genere se la può concedere al massimo nonna Clelia, che nella fiction è un avvocato con un gusto della battuta piuttosto ricercato. In bocca agli altri suonerebbe scorretto».
Sempre per costruire storie credibili alcuni suoi personaggi fanno a meno delle sfumature del futuro: «Cristina dice "quando arriverò farò questa cosa". Ma per salvare la grammatica abbiamo Emanuele che la corregge "quando sarai arrivata", futuro anteriore. Attenzione, però: Emanuele non è l’adolescente tipo, è un secchione un po’ rompiscatole». Un trucco usato in ogni puntata per mettere insieme realismo e grammatica. «Finora Emanuele ha ripreso Cristina sul congiuntivo e sulla consecutio temporum. Nella prossima serie la sua battaglia potrebbe essere sul punto e virgola».
Lorenzo Salvia