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 2010  settembre 21 Martedì calendario

L’ISOLA FELICE DI «LITTLE PHARMA» ALL’ITALIANA. PICCOLI MA PARTNER DEI COLOSSI GLOBALI

Per comodità li chiameremo i Little Pharma e sono la dimostrazione di come nel business dei farmaci per avere successo non si debba essere per forza una multinazionale. Si può restare Piccoli, ma presidiare una nicchia di mercato, produrre sciroppi, fiale o macchinari per i big come Glaxo o Pfizer e non risentire minimamente della Grande crisi. I nostri coraggiosi Little Pharmasonosco nos ciutial grande pubblico, lavorano per lo più tra Lombardia, Emilia, Veneto, Lazio e Toscana, e si possono suddividere in due categorie: a) quelli che forniscono macchinari, materiali e servizi; b) i contoterzisti che producono — sempre per i Big Pharma — compresse, colliri e altri medicinali. Ma attenzione, non si tratta del decentramento di lavorazioni povere, tutt’altro. Dalle fabbriche dei Piccoli escono macchine per il packaging, «camere bianche», sistemi di marcatura, sensori di processo e tutta una serie di componenti che devono rispettare gli standard internazionali che l’agenzia per il farmaco americana, la mitica Food & Drug Administration, o quella europea, l’Emea, fissano per chi voglia vendere nei loro mercati.
I Little Pharma sono a loro modo dei pionieri. Come l’ex vigile urbano di Pisa Flaminio Farnesi, capace di metter su un’azienda, la Grafica Zannini, che fa packaging di carta e cartone per i Big Pharma e oggi possiede stabilimenti in Irlanda e Serbia. Stefano Macciò e Giovanni Bini, un fisico e un ingegnere, hanno il loro quartier generale nella bella provincia toscana, a Poggibonsi, e da lì sono capaci di progettare uno stabilimento conto terzi. Fanno engineering farmaceutico, su scala globale. Paolo Lanfranchi guida da Cortemaggiore, in provincia di Piacenza, la Doppel e vende persino alla Pfizer, la numero uno del mondo. Giovanni Ferrari guida da Sant’Agata Bolognese la Coc. Ma a Castelmella, provincia di Brescia, c’è la Antares che sviluppa sistemi di controllo e tracciabilità dei farmaci, a Reggio Emilia la Cuccolini che ha messo a punto una soluzione leader per evitare il ristagno di polveri nella produzione dei farmaci e, da Garbagnate Milanese, la Scandolara è diventata famosa nel settore per un tubetto per farmaci e cosmetici con proprietà germicide. Accanto a tanti piccoli ci sono, specie in Emilia, aziende medio-grandi, come Ima e Marchesini, che esportano l’80% dei loro macchinari per il confezionamento.
Secondo un calcolo dell’Osservatorio Pharmintech l’indotto dei medicinali dà lavoro a 61 mila occupati e fattura 10 miliardi l’anno. I Piccoli investono molto, hanno salari più alti della media e i loro dipendenti sono ad alta qualificazione. Per loro non vale la favola di Fedro con il lupo-cliente che superior stabat al piccolo fornitore e ne decideva la vita e la morte. «Hanno caratteristiche strutturali nettamente migliori degli altri settori — sostiene Giampaolo Vitali, ricercatore del Ceris-Cnr che coordina l’Osservatorio —. Una cosa è produrre un contenitore sterile per i farmaci, un’altra è il comune vetro per bicchieri o marmellate. Macchinari e organizzazione del lavoro sono completamente differenti perché con i Big Pharma non puoi permetterti di sbagliare. Se lo fai una sola volta, cambi mestiere».
A differenza dei ceramisti o dei mobilieri i Little Pharma, che pure hanno una loro fiera di settore che si tiene ogni tre anni a Bologna, non sono aggregati in distretti industriali ma sono diffusi sul territorio e abituati a seguire il cliente in giro per il mondo. Riescono a negoziare da posizioni di forza con i big e portano a casa quasi sempre contratti di fornitura pluriennali. E questo grazie al fatto che continuano a fare ricerca e svil uppo i n pr opri o: nel lel or o aziende ci sono tute blu ma anche numerosi camici bianchi. Da questi laboratori non escono scoperte scientifiche con la esse maiuscola — per quelle ci vogliono i mega investimenti delle Aventis e delle AstraZeneca — ma invenzioni incrementali che magari migliorano la qualità dei contenitori dei medicinali, modulano i tempi del rilascio, aggiungono a farmaci straconosciuti come il Buscopan la copertura antiacido per salvaguardare lo stomaco dei pazienti. «Il vincolo estero, quello delle agenzie internazionali del farmaco, si è trasformato in un’opportunità di crescita per i nostri Little Pharma, in quanto li obbliga a investire continuamente in qualità e ricerca. E alla fine li premia» chiosa Vitali. A nessuna multinazionale verrebbe in mente di tagliare il lavoro di piccole imprese capaci di rifornirle di procedure anti-falsificazione, stampanti sofisticate, persino ologrammi, nuove tecnologie al di fuori delle competenze della tipica impresa farmaceutica concentrata nella ricerca e nella distribuzione dei medicinali.
Racconta Ferrari (Coc): «La crisi noi l’abbiamo attraversata bene perché abbiamo brevetti nostri e contratti quinquennali. È vero che qualche progetto ha subito un rallentamento ma non abbiamo licenziato nessuno, anzi abbiamo assunto». La Coc fa parte del gruppo Lameplast controllato da tre famiglie con nomi italianissimi — Ferrari, Fontana e Fabbri — ha uno stabilimento persino a Miami e dà lavoro a 250 dipendenti con 40 milioni di fatturato. «Siamo stati gli inventori del monodose oftalmico» dicono e vengono considerati dai grandi più dei partner che dei meri contoterzisti. Ora Ferrari, alla faccia dei dubbi sulla ripresa, pensa a un nuovo stabilimento in Italia che servirà alla Coc per produrre principi attivi, i medicinali generici.
La Doppel è uno spin off della Hoechst-Roussel nel ’94 ed è via via cresciuta da 40 fino a 500 dipendenti divisi oggi in tre stabilimenti. Fattura 84 milioni di euro e «la crisi non l’abbiamo sentita» dichiara il presidente Lanfranchi, che ricorda come non ci siano più le grandi scoperte farmaceutiche che hanno caratterizzato gli anni dal 1950 al ’70, ma che oggi si possono comunque avere innovazioni incrementali giocando su nuove forme di rilascio del medicinale. A suo dire, Little Pharma ha svolto anche un ruolo sociale, «abbiamo attutito il duro colpo delle dismissioni delle grandi aziende sul territorio, tras for mando i mpianti destinati alla chiusura i n nuove realtà del contoterzi». Strutture che sarebbero state dismesse o cedute e invece grazie ai contoterzisti hanno salvato l’occupazione qualificata in molte cittadine di provincia.
Torniamo ai produttori di macchinari e affini, alla coppia Macciò e Bini che progetta stabilimenti produttivi s upercertif i c at i . La loro Ctp Systems ha 180 dipendenti e ha avuto di recente la commessa del governo algerino di ristrutturare le aziende farmaceutiche di Stato ferme industrialmente e tecnologicamente a 40 anni fa. «La crisi l’abbiamo contenuta, abbiamo dovuto ridurre gli investimenti ma dal 2011 prevediamo di tornare su livelli decisamente brillanti. Il lavoro è molto frazionato, se nel 2007 prendevamo dieci commesse da mille, oggi facciamo mille commesse da dieci, ma siamo rimasti pienamente in campo. E lavoriamo molto per modernizzare impianti già esistenti».
Se la Grande crisi li ha risparmiati per i Little Pharma però non c’è mai tregua. Il successo non è garantito per sempre. Le regolamentazioni pubbliche sono stringenti, le certificazioni internazionali limitano i movimenti, la globalizzazione manda i clienti in giro per il mondo e loro sono costretti a seguirli. Anche produrre semplici scatolette di cartone è un mestiere estremamente difficile se lavori per il farmaceutico.
Dario Di Vico