Paola Pica, Corriere della Sera 21/09/2010, 21 settembre 2010
L’AMAREZZA DEL BANCHIERE: VOGLIONO MANDARMI VIA. I NOSTRI CONTI? LA BANCA VA MEGLIO DI TANTE ALTRE —
«Mi mandano via». Sono le poche parole che, già nel pomeriggio di domenica, Alessandro Profumo confida a un amico arrivando sul sagrato di San Simpliciano, la chiesa milanese dove sta per cominciare il funerale di Antonietta Bambi Susini, moglie di Salvatore Ligresti. In quelle ultime ore di un fine settimana di contatti frenetici tra i soci e il vertice, la posizione del capo di Unicredit va facendosi critica. E il lunedì di Profumo, se possibile, è anche peggio. Il due volte «banchiere europeo dell’anno», l’uomo che presta all’estero il volto all’Italia delle banche, potrebbe cadere oggi sulla scia delle polemiche per la mini-scalata della Libia in Unicredit.
Ma per un gruppo di azionisti pronti a liberarsi di Profumo, molti di più nella comunità finanziaria e nel mondo politico si fanno vivi in segno di solidarietà, rinnovando stima e fiducia. Qualcuno lo invita a «resistere», come aveva già fatto in passato in momenti assai più difficili di questo e ogni qualvolta gli azionisti avevano tentato di limitarne il margine di manovra. Lo scontro con le fondazioni, e in particolare con la Cariverona di Paolo Biasi, è stato un fenomeno che si è ripetuto più volte nel corso degli anni, anche a causa della forza che il banchiere ha sempre mostrato di avere. In discussione, insomma, c’è sempre stato il «modello Profumo» con la continua istanza di indipendenza. Più di recente, il manager ha superato passaggi a dir poco drammatici, come il ciclone di vendite che, subito dopo il crac Lehman Brother, aveva tenuto i titoli della banca in scacco a Piazza Affari. O l’avvio del controverso riassetto della Banca Unica che ha messo sul piede di guerra anche la Lega Nord.
Profumo non cede alla tentazione di rassegnare subito le dimissioni, si limita ad avviare i conteggi per la liquidazione (4,3 milioni la retribuzione 2009) e decide di aspettare il consiglio di amministrazione straordinario convocato d’urgenza per questo pomeriggio. Vuole verificare se davvero non esista più una maggioranza di soci a sostenerlo. E fino a che punto i suoi oppositori sono pronti ad assumersi, sul mercato, la responsabilità di decapitare la banca, una blue chip internazionale, il titolo più scambiato nelle borse europee.
Non nasconde, il gran capo di Unicredit, «la forte amarezza per essere trattato così, dopo quindici anni» di dedizione assoluta alla «sua» banca, il gruppo che lo ha visto salire quarantenne sulla plancia di comando e che ha finito per identificarsi col suo stesso amministratore delegato. «Amarezza» ripete anche per il «rapporto personale con Dieter Rampl» andato deteriorandosi fino alla rottura. Il tandem professionale con l’attuale presidente di Unicredit ed ex amministratore delegato di Hvb, la banca tedesca acquisita da Piazza Cordusio nel 2005, ha potuto contare almeno nei primi anni su una «chimica» solitamente rara nel mondo degli affari. Un’intesa che ha permesso la trasformazione dell’ex bin nel primo gruppo paneuropeo. Non più tardi di sei mesi fa Rampl si era battuto al fianco di Profumo al quale gli azionisti volevano affiancare un direttore generale con poteri. Fondazioni e soci privati dovettero allora accontentarsi di un country chairman, la soluzione «light», ma a quanto pare non deposero le armi. Resta il fatto che oggi Rampl non perdona a Profumo la mancata informativa sugli acquisti libici, avvenuti per di più attraverso l’investment bank di Piazza Cordusio.
Profumo si rammarica con i suoi dell’ «incomprensione» delle Fondazioni che temono di venir scalzate dai fondi del governo di Muammar Gheddafi, ma riconosce di non essere riuscito a comunicare nei tempi e nei modi giusti le scelte fatte «solo nel nome della stabilità della banca».
Non è il primo «mea culpa» di Profumo, che a dispetto del nomignolo di «Arrogance» che gli è stato affibbiato è stato forse l’unico banchiere europeo a riconoscere pubblicamente gli errori commessi a ridosso della Grande crisi.
Agli azionisti, il capo di Unicredit ha chiesto di metter generosamente mano al portafogli due volte in due anni, tagliando nel frattempo i dividendi che pure, in passato, avevano dato ricche soddisfazioni. Ma «non si capisce», dice adesso alle persone più vicine, perché «la polemica sui libici si sia spostata a quella sulla redditività». Unicredit, sostiene il suo amministratore delegato, fa meglio dei suoi concorrenti e tenuto conto dei tempi difficili «c’è di che essere soddisfatti».
Forse un po’ a sorpresa, in mattinata Profumo incassa il sostegno di Giulio Tremonti. In passato i rapporti non sono stati sempre distesi, ma il ministro dell’Economia, al quale poco importa della leggendaria «allergia» del banchiere per la politica, gli riconosce lealtà e coerenza. All’ex boy scout non può che far piacere. Ultimo dei cinque figli di un ingegnere, i cui insegnamenti Profumo ricorda di frequente, anche negli interventi pubblici, l’amministratore delegato oggi 53enne è entrato al Credit nel ’94. Sotto la presidenza di Lucio Rondelli ha guidato la banca sin dal ’97.
Sono quasi le 20 quando Profumo lascia l’ufficio di Piazza Cordusio. Scuro in volto, passo svelto raggiunge la moglie Sabina che lo attende al Teatro Dal Verme. In programma c’è il concerto civile Giorgio Ambrosoli dedicato alla memoria del giudice Guido Galli, ucciso da un commando di Prima linea nel marzo del 1980. Le note di Johann Sebastian Bach e di Giovanni Battista Pergolesi accompagnano i pensieri di Profumo che si prepara alla partita finale. E forse è ancora presto per pensare di ritirarsi nella sua nuova casa sui colli piacentini.
Paola Pica