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 2010  settembre 21 Martedì calendario

La stretta della Regione e l’effetto boomerang sulla salute delle donne - La stretta è arrivata due mesi fa, con un provvedimento dritto ai portafogli di aziende sanitarie e cliniche private

La stretta della Regione e l’effetto boomerang sulla salute delle donne - La stretta è arrivata due mesi fa, con un provvedimento dritto ai portafogli di aziende sanitarie e cliniche private. Volete fare il cesareo? Bene, sappiate che avrete lo stesso rimborso che per un parto naturale: 1.900 euro, non uno in più. Addio ai 2.400 euro dispensati fino ad allora a chi per far nascere un bambino correva dritto in sala operatoria. Nero su bianco, l’assessore alla Sanità Massimo Russo - impegnato in un piano drastico di contrazione dei costi del settore - ha pensato così di ridurre senza troppe chiacchiere il numero dei cesarei, che nell’isola tocca punte quasi da record: 53 per cento, a fronte dei 38.3 di media nazionale e del 20 per cento raccomandato dal ministero. Andando al cuore del problema: i soldi. Proposito sacrosanto che però, qui in Sicilia, ha avuto un rovescio preoccupante: la corsa di ospedali e cliniche ad abbandonare il cesareo per gettarsi a capofitto sul parto naturale, corsa diventata affannosa dopo l’esplosione - venti giorni fa - del primo «caso Messina». Anche perché, dopo avere toccato i bilanci, l’assessore Russo - un passato da magistrato antimafia, una determinazione che gli vale fama da Robespierre - ha pensato di puntare il coltello ancora più a fondo. Mandando una circolare alle cliniche private, in cui la contrazione dei parti cesarei è inserita tra le condizioni necessarie per vedersi rinnovata la convenzione con il Servizio sanitario (e quindi la stessa possibilità di esistere). E imprimendo un’analoga stretta agli ospedali pubblici, dove la riduzione dei bambini nati con il bisturi è diventata uno degli obiettivi posti ai primari di Ostetricia e Ginecologia se vogliono vedersi rinnovato il contratto. Nulla di cui stupirsi, quindi, se nei reparti dell’isola un servizio come il parto - roba che fino a cinquant’anni fa era monopolio delle ostetriche di famiglia - è diventato materia che scotta. E se, in quelle corsie dove trionfavano sorrisi e abbracci, adesso ci sono tanti musi lunghi e nervi a fior di pelle. Di sicuro, prima di fare un cesareo ci si pensa cento volte. E il rischio è che il freno a mano sia così tirato da spingere il più possibile per le doglie anche quando ci sono indicazioni per andare in sala operatoria. «Ormai ci sentiamo guardati come criminali, o al meglio come attentatori delle pubbliche finanze, se ci azzardiamo a parlare di cesareo», commenta un ginecologo di Messina. Al punto da alimentare la leggenda metropolitana secondo cui tutte le cartelle cliniche dei cesarei eseguiti negli ospedali siciliani vadano dritti alle Procure. «Ci sono precisi protocolli, c’è la professionalità dei nostri medici che sanno valutare caso per caso», rispondeva all’indomani del primo caso Messina l’assessore Russo. Ma certo è che la medicina non è una scienza esatta e che, al di là dei casi di scelta esplicita, ci sono tutta una serie di situazioni in cui è il medico a valutare se convenga portare avanti il travaglio o mettere la mascherina da chirurgo. I casi previsti dai manuali sono due: i «bacini limite», cioè l’eventualità che la dimensione del bacino della donna sia troppo piccolo per far passare un bambino grande (come Giosuè, il neonato al centro di questo nuovo caso, di oltre quattro chili) oppure le «anomalie di presentazione», cioè la non corretta posizione del feto, podalico o trasversale. Il resto, finora, è stato affidato all’intuito, alla sensibilità, alle valutazioni del ginecologo. All’età della puerpera. Così è cambiato anche l’approccio alle donne che già hanno subito un cesareo: finora un nuovo intervento chirurgico era scontato, ora si punta a tentare il parto naturale, affrontando il rischio della rottura dell’utero. Sforzo rimborsato in Sicilia con un bonus di altri 300 euro. Propositi ottimi, insomma, se lasciati alla libera valutazione dei camici bianchi. Che però finiscono inevitabilmente in numeri, bilanci, stime. E budget, parola che qui in Sicilia governa ormai l’universo medico. «Il rischio - dice uno dei pionieri della ginecologia a Palermo - è che il cesareo diventi un lusso per chi si può permettere una clinica privata». E pazienza se negli ospedali pubblici siciliani l’analgesia epidurale (già merce rara in tutto il Paese, dove si pratica nel 25 per cento dei casi, a fronte del 70 di Francia e Inghilterra) vada cercata con il lanternino. Per tutte le altre donne resta la maledizione biblica: «Partorirai con dolore».