MARCELLO SORGI, La Stampa 21/9/2010, pagina 7, 21 settembre 2010
Va in scena la prova generale dei due nuovi schieramenti - Se davvero tra oggi e domani il siciliano Lombardo, eletto due anni fa dal centrodestra, darà vita al suo quarto governo regionale con l’appoggio determinante del Pd e il Pdl all’opposizione, e se Berlusconi negli stessi giorni riuscirà a salvare la sua maggioranza con l’aiuto di quei partiti, o frammenti di partiti, che Lombardo ha messo alla porta, non avremo solo assistito a un ennesimo caso di trasformismo, condannato - ancorché condiviso – da tutte le parti
Va in scena la prova generale dei due nuovi schieramenti - Se davvero tra oggi e domani il siciliano Lombardo, eletto due anni fa dal centrodestra, darà vita al suo quarto governo regionale con l’appoggio determinante del Pd e il Pdl all’opposizione, e se Berlusconi negli stessi giorni riuscirà a salvare la sua maggioranza con l’aiuto di quei partiti, o frammenti di partiti, che Lombardo ha messo alla porta, non avremo solo assistito a un ennesimo caso di trasformismo, condannato - ancorché condiviso – da tutte le parti. Ma a qualcosa di più. Siamo infatti alle prove generali dei due nuovi, si fa per dire, schieramenti, che tra poco si affronteranno nelle prossime elezioni anticipate. Poco importa che i due test avvengano, uno su scala locale, in Sicilia, e l’altro sul piano nazionale. Tanto ormai nessuno si illude che la legislatura possa durare oltre la primavera. La novità sta nel fatto, incredibile fino a qualche tempo fa, che nella coalizione tenuta a battesimo dal governatore siciliano marciano insieme il partito autonomista Mpa, finora alleato del centrodestra, dello stesso Lombardo, Casini con solo una parte degli esponenti locali dell’Udc, la neonata sezione isolana dell’Api di Rutelli, il Pd tutto o quasi tutto, e i finiani ieri alleati, e da domani separati, dall’ala dissidente del Pdl che fa capo al sottosegretario Miccichè. Formula: centro-sinistra-destra. Invece nella maggioranza allargata che dovrebbe salvare Berlusconi il prossimo 29 settembre, liberandolo dall’ipoteca della scomoda alleanza con Fini, accanto all’asse Pdl-Lega su cui ha ruotato il governo in questi due anni si schiereranno i centristi dissidenti dell’Udc che non hanno condiviso la svolta siciliana del loro leader, capeggiati dall’ex-ministro Mannino, gli autonomisti parallelamente dissidenti Mpa contrari al ribaltone del governatore, guidati dal sottosegretario (anche lui democristiano d’annata) Scotti, altri post-Dc sparsi per fare numero, e udite udite, par di capire, anche se non subito o non tutti insieme, parte dei dissidenti veltroniani (ma in realtà anche loro democristiani e legati all’ex ministro Fioroni) che hanno firmato il documento dei 75 di contestazione del leader del Pd Bersani. Formula: centrosinistra-centrodestra. Non scherziamo. E’ esattamente quel che sta accadendo. A vent’anni circa dalla crisi della Prima Repubblica, quando la nascita di alleanze trasversali (per gli storici, il «Caf» e il «Dosd», dalle iniziali, rispettivamente, di Craxi Andreotti e Forlani, e di De Mita, Occhetto, Spadolini e De Benedetti) segnò la fine dei partiti e delle formule di governo tradizionali, la Seconda Repubblica si prepara a morire dello stesso male. Con una differenza, però, da non trascurare. Nel passaggio esiziale a cavallo tra gli Anni Ottanta e i Novanta c’era almeno una logica e due diverse ipotesi di uscita dalla crisi: la Dc era chiaramente divisa tra filosocialisti e filocomunisti, e allo stesso modo il Pci tra filosocialisti e filodemocristiani. L’alternativa era tra mantenere l’equilibrio consociativo dei due grandi partiti di massa, un compromesso più o meno esplicito fondato sulla comune natura anticapitalistica dei due giganti, o trainare il partitone cattolico in un’alleanza con moderati, laici e socialisti, e in un progetto riformatore costruito sulle esigenze dell’economia di mercato. Di fatto nessuna delle due ipotesi prevalse e la paralisi che ne derivò diede la stura all’epoca della corruzione generalizzata. Ma tracce dei due progetti – uno più solidarista e sociale, l’altro più liberista e per così dire turbo-capitalista – sopravvissero anche dopo, nelle due coalizioni, centrosinistra e centrodestra, che si sono alternate al governo negli ultimi sedici anni. Nulla di tutto ciò, va detto, ma anche nient’altro, è purtroppo ravvisabile nei due prossimi schieramenti che si preparano alle elezioni. Il cemento che le consolida è lo spirito individuale di sopravvivenza: Berlusconi che non si rassegna a passare la mano; Casini, Fini e Bersani (nonché Lombardo, che intanto a Roma continua a votare per il premier) pronti a mettere insieme il diavolo con l’acqua santa pur di liberarsi del Cavaliere. Gli uni e gli altri si muovono in aperta violazione del principio fondamentale, il pilastro su cui è stata costruita la Seconda Repubblica: la scelta della coalizione, del governo e del premier tolta ai capi-partito e messa nelle mani degli elettori. Non c’è infatti alcuna prova (anzi, è più probabile il contrario) che gli italiani vogliano mandare a casa a qualsiasi costo Berlusconi, e men che meno che vogliano sostituire il governo con un’alleanza di postfascisti e postcomunisti. Mentre al contrario è sicuro che gli elettori non sapranno più come raccapezzarsi quando due schieramenti come quelli che si annunciano si presenteranno davanti a loro. Berlusconi infatti non potrà più ricorrere al suo decisivo cavallo di battaglia anticomunista contro una coalizione in cui accanto agli eredi dell’ex-Pci militano i seguaci di Fini, che di recente a Mirabello hanno preso a rimpiangere apertamente Almirante e il vecchio Msi. E Casini, Fini e Bersani (nonché Lombardo) non potranno usare la pregiudiziale antiberlusconiana quando almeno due terzi della loro alleanza proviene da un’esperienza di governo a fianco del Cavaliere e una buona metà dei loro partiti, in testa i Dc, è rimasta dall’altra parte. Così, anche per gli italiani più esperti di politica, sarà molto difficile capire per chi si vota e per cosa. E sarà sempre più forte la voglia di disertare le urne, nella notte della Repubblica in cui tutte le vacche diventano nere.