Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 20 Lunedì calendario

La letteratura erotica dell’Ottocento risorge sull’iPhone - «Seduta a la picco­la, elegante scri­vania, presso l’ampia finestra aperta, Lucia, con la penna so­­spesa su ’l foglio, guardava fuo­ri i rami dell’ippocastano, che scossi nell’aria degli ultimi gior­ni di marzo, ondeggiavano nel­l’­azzurro le grosse umide gem­me, scintillanti al sole come bottoni di color roseo dorato», così scriveva Anna Vertua Gen­tile nel suo Romanzo di una si­gnorina perbene , nel 1897, e a chi mai ricapiterebbe più di leg­gerla, se non ci fosse Steve Jobs? Infatti per sprofondare nell’erotismo più kitsch di fine Ottocento basta scaricarsi l’ap­plicazione «Stanza» sull’iPho­ne e vedere il cielo in una stan­za come neppure Gino Paoli quando sei qui con me ma sen­za iPhone, un repêchage rivela­tore del kitsch nazionalpopola­re della narrativa all’epoca di successo e che, volendo, viene da adattare ai tempi moderni

La letteratura erotica dell’Ottocento risorge sull’iPhone - «Seduta a la picco­la, elegante scri­vania, presso l’ampia finestra aperta, Lucia, con la penna so­­spesa su ’l foglio, guardava fuo­ri i rami dell’ippocastano, che scossi nell’aria degli ultimi gior­ni di marzo, ondeggiavano nel­l’­azzurro le grosse umide gem­me, scintillanti al sole come bottoni di color roseo dorato», così scriveva Anna Vertua Gen­tile nel suo Romanzo di una si­gnorina perbene , nel 1897, e a chi mai ricapiterebbe più di leg­gerla, se non ci fosse Steve Jobs? Infatti per sprofondare nell’erotismo più kitsch di fine Ottocento basta scaricarsi l’ap­plicazione «Stanza» sull’iPho­ne e vedere il cielo in una stan­za come neppure Gino Paoli quando sei qui con me ma sen­za iPhone, un repêchage rivela­tore del kitsch nazionalpopola­re della narrativa all’epoca di successo e che, volendo, viene da adattare ai tempi moderni. Certo, qui è tutta un’allusio­ne, una metafora umida, una palpitazione ascosa sotto le ve­sti increspate da bave di vento e sussulti del cuore e trasali­menti dell’anima, tra amorose impazienze e uccelletti, molti uccelletti, che volano da un ra­mo all’altro «ciangottandosi a distanza», non succede mai niente ma tutto si immagina tra simboli fallici, e Gad Lerner e Michela Murgia, oggi, un se­colo dopo, se la prendono con il povero Bruno Vespa se giusta­mente al Campiello, come Opera Prima, voleva premiare le tette della Avallone? Insomma, mica siamo anco­ra nel 1897, quando, sempre grazie all’iPhone, è possibile leggere L’infedele di Matilde Se­rao, chi l’avrebbe mai preso in mano, anche lì con copioso ri­correre di uccellini spesso a fior di labbra, e la protagonista «Luisa parla presto, molto, re­stando talvolta senza fiato, co­me un uccellino che abbia smesso di cantare», e va da sé fiori, tanti fiori, fiori ambigui, magari da picchiettare sul­l’amante, quando per esempio lei «gli aveva parlato presta­mente, ridendo, battendogli sul braccio con quel leggiero fiore, guardandolo con tene­rezza e con malizia », e pensare che in Francia, ben prima de I fiori del male , il visconte di Val­mont e la Marchesa de Mer­teuil ci davano sotto da oltre un secolo, per non parlare di quel­lo che si faceva nei libri del Di­vin Marchese o nella processa­ta carrozza di Flaubert, dove erano rinchiusi Emma e Rudol­ph. Erano i preHarmony del­l’epoca, e sempre nel 1897 (an­no prolifico, il 1897) esce an­che Il fallo d’una donna onesta di Enrico Castelnuovo, e non cadete in errore di non prende­­re il fallo per un errore, dove tut­tavia ci si apre immediatamen­te all’erotismo ortofrutticolo, e ecco ortolano Piero che «appe­na udì la voce della padrona, le corse incontro con il berretto in mano e l’invitò ad ammirare i sedani tirolesi ch’erano stati seminati quell’anno e ch’era­no riusciti di là dall’aspettazio­ne ».Un antesignano di Bevilac­qua e di Scurati e ben cent’anni prima, ma non solo di sedani si tratta,l’ortolano mostra alla si­gnora «con tenerezza i cavoli immensi, lustri sotto l’acqua, e le carote, e i ravanelli, e le radici bianche e rosse che facevano pompa dei loro colori e sfidava­no allegramente la bufera», e nella pompa di cotanta verdu­ra fresca chi vuole intendere fraintenda. Senza ricorrere, per carità, a Il libro proibito di Antonio Ghi­slanzoni, del 1878, un libro che costava due lire «e assai perico­loso per chi ci tiene alla quiete e alla salvezza dell’anima», e uno chissà che si aspetta, inve­ce ci trova poesie come quella dedicata a Clelia, «Dì: quei ca­pelli/ Sì folti e belli;/ Clelia, que’ denti/ bianchi e lucenti,/ Quel nuovo petto/ Che hai nel corsetto/ Quanto han costa­to?/ Tutto ho comprato/ A prez­zo onesto/ Vendendo il resto», che letta così sembra una poe­si­a di un Gaucci povero dell’Ot­tocento (sarà per questo che sull’iPhone scrivendo Tulliani viene fuori Tulipani, e si torna ai fiori amari di cui sopra). Cer­to, non è la Camilla della Clelia di Giuseppe Garibaldi,«l’infeli­ce Camilla con il dono funesto della bellezza» che incontra un cacciatore buono che si chia­ma Silvio, proprio Silvio, che amandola la salva dalle sue di­sgrazie, Silvio è sempre Silvio. «Silvio le si accostò, sollevolla, l’avvolse nel mantello e dolce­mente tenendola per mano, la condusse fuori del Colosseo verso l’abitazione di Marcel­lo »,c’era già pure Dell’Utri.Nei romanzi della contessa Colom­bi ritornano gli onnipresenti fiori dal gambo lungo e sospet­toso, come in Tempesta e bo­naccia , del 1877, dove la prota­gonista nasconde un fiore per­ché «era riconoscere che nel dono di quel fiore c’era implica­to qualche cosa che la direttri­ce non doveva sapere; quel qualche cosa io l’avevo indovi­nato; e però accettando il fiore, avevo accettato quel qualche cosa di sottinteso». L’Italia della narrativa di con­sumo di fine Ottocento, insom­ma, era questa, stretta tra sot­tintesi floreali e belle contadi­nelle e metafore botaniche, e a pensarci, se è vero che una don­na non si picchia neppure con un fiore, un uomo abbiamo vi­sto che si può senza problemi, e allora con tutta questa lettera­tura romanticissima alle spalle la Murgia non poteva prende­re spunto dalla Vertua e batte­re Vespa con un gambo lungo, magari più modernamente, con un tulipano di Mapplethor­pe dal gambo lungo?