Marco Alfieri, La Stampa 20/9/2010, pagina 5, 20 settembre 2010
Cantieri bloccati e troppi debiti. L’edilizia non riparte - Solo a Palermo nell’ultimo anno sono morte 200 imprese
Cantieri bloccati e troppi debiti. L’edilizia non riparte - Solo a Palermo nell’ultimo anno sono morte 200 imprese. «Soffriamo il pesante effetto di un mondo delle costruzioni fermo», si lamenta il presidente dell’Ance locale, Giuseppe Di Giovanna. «Mentre l’housing sociale rimane nei cassetti del comune, ostaggio dei partiti». Da un capo all’altro d’Italia, la Cna di Torino stima che «in assenza di incentivi, la situazione è destinata ad aggravarsi, dopo i duemila posti tagliati nel 2009 e ben 448 aziende chiuse o sospese». In Lombardia, la regione più ricca del paese, in 2 anni hanno perso il lavoro 22mila edili, il 15% del totale addetti. Non bastasse il monte salari è sceso del 14,1%, Paolo Galassi della Confapi denuncia il rischio fallimento per il 10% degli associati, e soprattutto fa boom la prassi di inquadrare i lavoratori edili al 1° livello, a prescindere dalle mansioni (in 10 anni sono passati dal 27 al 43%). Nella placida Umbria che cerca ossessivamente il nord, a preoccupare Osvaldo Cecconi della Filca Cisl sono invece i contratti part-time: «quasi duemila in pochi mesi. Quattro ore in cantiere e stipendio a metà». La cosa puzza molto di lavoro nero. Perché il part-time dimezza i contributi per le aziende in apnea, con il resto della paga che arriva sottobanco. E ancora. Secondo la Fondazione Moressa, la piccola impresa veneta nel primo semestre 2010 ha ridotto dello 0,5% l’occupazione, ma nel comparto edile la riduzione è pari al 2,6% (12mila addetti). Insieme sono aumentate del 27,9% le crisi aziendali, dopo l’infornata di 229 imprese già fallite nella seconda metà 2009. Scendendo poi in Emilia, a Reggio l’esplosione della bolla sta lasciando migliaia di appartamenti invenduti, cantieri fermi e molti lavoratori in mora perché non riescono a pagare il mutuo sulla casa. Insomma numeri di una grande spoon river in giro per l’Italia, un deserto crudele perché silenzioso, sottotraccia. Giù fatturati, addetti (meno 210mila in un biennio), investimenti (meno 18% in tre anni), compravendite (meno 30% in tre anni) e su l’invenduto, specie nei piccoli centri. Se ci aggiungiamo il Patto di stabilità che blocca i pagamenti (la piaga maggiore per il 58% delle imprese) e la stretta creditizia (un martirio per il 40% degli imprenditori), il 2010 rischia di essere l’anno nero dell’edilizia: 370 miliardi di fatturato complessivo, 3 milioni di occupati tra diretti e indotto e circa l’11% del Pil nazionale. Qui non c’è la valvola dell’export né la ripartenza tedesca a cui agganciarsi. Il 90% del comparto è fatto da Pmi che servono il mercato locale. Non a caso i primi fuochi registrati dall’Istat dopo sei cali consecutivi dell’indice della produzione (+2,5% nel secondo trimestre 2010), restano confinati nelle grandi città, non si spalmano sulla provincia italiana dov’è in corso la grande moria (meno 25mila imprese dall’inizio della crisi) e la contrazione del mercato residenziale segna meno 12,2% (contro il meno 7,7 dei comuni capoluogo). Dice Paolo Bellini, presidente di Anama (agenti immobiliari), che anche sulla crescita dei mutui bisogna fare la tara: «In questo caso stanno giocando i tassi bassi che portano a molte sostituzioni e surroghe». Ergo: parecchi atti firmati in questi mesi sono riscritture e non nuovi acquisti. Il capitale complessivo erogato per finanziare nuove compravendite non a caso si è ridotto dai 34,5 miliardi a 31. E quando si vende lo stesso, nel 75,8% dei casi lo si fa a sconto tra il 5 e il 20% (stime Bankitalia). A riprova che il mercato si sta forse normalizzando nelle dieci grandi città italiane, ma la periferia resta una cayenna, aggravata dall’esplosione dei bandi di gara sopra i 100 milioni di euro (nell’ultimo decennio dall’1,6 al 36,3%) e dal contemporaneo taglio del 25% di quelli sotto i 5 milioni. Era tradizionalmente il tesoretto dei piccoli, costretti così ad infilarsi nelle catene torbide del sub-appalto, brodo di coltura per i 300mila lavoratori «fantasma» nei cantieri, i 5 miliardi di euro evasi e il boom delle partite Iva fittizie (+200 per cento). Naturalmente un po’ di selezione serve a ripulire il settore da una bolla che ha drogato il comparto per 15 anni, quando tutti si sono messi a costruire. Ottocentomila imprese censite nelle Camere di commercio d’Italia sono un numero abnorme. Si è costruito dappertutto e oggi si paga il prezzo di appartamenti invenduti su cui gravano costi finanziari, capannoni fantasma, specie nel Veneto Felix e lungo la Via Emilia. Dove molti imprenditori sono costretti, per saldare i debiti, a passarsi gli appartamenti come figurine. Basta un numero per comprendere il fenomeno: nel trevigiano ci sono 1,1 milioni di appartamenti per 900mila abitanti. «Chi fa manutenzione se la cava», spiegano dalla Cgia di Mestre, «ma per chi deve vendere è un deserto». Il mix tra imprese indebitate (+23% gli incagli sui fidi edilizi) e un mercato immobiliare fermo è micidiale per la provincia italiana. Senza più i mutui 100% il ceto medio non riesce ad alimentare la domanda necessaria a smaltire il surplus di mattone. E dalle banche l’input è blindato: dopo la stagione del denaro facile si chiedono più garanzie, le erogazioni non coprono più del 60-70% del mutuo. Tuttavia se crolla l’edilizia viene già tutto il paese. Perché le aziende colpite comprendono un indotto vastissimo: servizi di ingegneria, industria del cemento, fabbricazione di strutture metalliche, prodotti di legno, piastrelle, ponteggi, macchine per l’edilizia e prodotti per l’isolamento. Una filiera lunghissima per cui la crisi, quella vera, non si è affatto smaltita…