ANDREA MALAGUTI, La Stampa 20/9/2010, pagina 3, 20 settembre 2010
Tutti a casa senza accuse i sei “terroristi” algerini - Nell’allucinante guerra di fantasmi contro un nemico incontrollabile che si nasconde dietro facce tutte uguali, dopo due giorni di indagini e otto perquisizioni in case di periferia e negli uffici della Veolia Environmental Service, Scotland Yard ha deciso che i sei algerini impiegati dalla multinazionale assoldata per tenere in ordine le strade al passaggio del Papa, non erano né cattivi né terroristi
Tutti a casa senza accuse i sei “terroristi” algerini - Nell’allucinante guerra di fantasmi contro un nemico incontrollabile che si nasconde dietro facce tutte uguali, dopo due giorni di indagini e otto perquisizioni in case di periferia e negli uffici della Veolia Environmental Service, Scotland Yard ha deciso che i sei algerini impiegati dalla multinazionale assoldata per tenere in ordine le strade al passaggio del Papa, non erano né cattivi né terroristi. E soprattutto non avevano intenzione di ammazzare Benedetto XVI. «Abbiamo avuto paura, per questo li abbiamo arrestati. Tutto qui». Tutto qui. Avevano detto la cosa sbagliata nel momento sbagliato e nell’Inghilterra del 2010, che affida i suoi interventi più delicati alle regole introdotte dal Terrorism Act - arresto immediato e 28 giorni di reclusione senza garanzie per chiunque sembri implicato nella preparazione di un attentato - è più che sufficiente per perdere la libertà. Per diventare l’errore umano numero 841, l’ennesimo danno collaterale innescato da nove anni di vita della sezione 44 della legislazione speciale, i sei nordafricani non hanno dovuto fare altro che sedersi a tavola. Era giovedì. Uno ha detto: «Pensa come sarebbe facile uccidere il Papa per noi che puliamo la strada al suo passaggio». E un altro. «Ma figurati, quello ha la macchina blindata». «Sì, ma un lanciarazzi la farebbe saltare in aria». Dieci secondi. Poi hanno riso e si sono messi a parlare d’altro. Un collega spaventato ha contattato l’antiterrorismo. «Progettano una strage». Scotland Yard è intervenuta. Non c’era tempo verificare. «Che cosa avremmo dovuto fare secondo voi?». Il portavoce della polizia è un omone largo imbragato nella sua divisa perfetta che si contorce d’imbarazzo in sorrisi da adolescente. «Magari portarli a casa loro e tenerli lì senza sbatterli dentro», suggerisce qualcuno. «Magari. Ma dopo è più facile parlare». In una città che che secondo le parole di Jonathan Evans, capo dell’MI5, aspetta come un «evento inevitabile un nuovo spargimento di sangue nelle strade» non era possibile agire diversamente. Ieri un cittadino britannico di origine somala è stato arrestato all’aeroporto di Amsterdam. «Pensiamo che sia un terrorista». Sono cinque anni che la tensione, il pericolo e la fretta, producono grandi successi ed errori vistosi. Si pesca a strascico, nella rete non sempre finisce il pesce giusto. Il brasiliano Jean Charles Menezes fu ucciso con otto colpi di pistola alla stazione metropolitana di Stockwell pochi giorni dopo gli attentati del 7 luglio del 2005, la spaccatura verticale tra la serenità e l’angoscia. Secondo la polizia, che gli sparò a bruciapelo, voleva farsi saltare in aria. Non era vero. Menezes aveva 27 anni e faceva l’idraulico. Il 10 agosto del 2006 vengono arrestati otto arabi accusati di voler fare esplodere in volo sette aerei decollati da Heathrow e diretti negli Stati Uniti. Il complotto è reale. Tre condanne, cinque assoluzioni. «Preferivate contare 1.500 morti?». Nell’aprile del 2009 è la volta di dodici pakistani di Walthamstaw, enlcave di Islamabad a nord di Londra. Li fermano nei loro appartamenti con le luci al neon e le pareti tumefatte dall’umidità. Brown, allora primo ministro, spiega che avrebbero replicato a Londra un attentato come quello di Mumbay. La notizia fa il giro del mondo. Ma è falsa. Undici vengono scarcerati, uno resta dentro perché ha documenti irregolari. Niente bombe, niente Al Qaeda. La baronessa Neville Jones, sottosegretaria del ministero della sicurezza, invita l’autorità di pubblica sicurezza a fare attenzione. «Per mantenere la fiducia dei cittadini nell’antiterrorismo è necessario che i poteri concessi dalla legislazione speciale siano usati con cautela». Quattordici comandi di polizia sono sotto inchiesta per avere abusato del proprio potere, dal Kent al Sussex, da Londra a Manchester. E il dibattito sul Terrorism Act è ricominciato furioso. Esiste un punto di equilibrio tra la paura e la giustizia? I sei algerini li hanno lasciati andare all’alba con un vago cenno di scuse, come se in questo fine settimana papale gli fosse stata accordata la santità di seconda categoria della gente la cui inevitabile sofferenza fa vergognare tutti.